Don Andrea Santoro, testimone

Una vita donata al Signore per gli altri, fino all'uccisione nella chiesa di s. Maria a Trabzon, in Turchia, mentre prega con la Bibbia tra le mani.
Don Andrea Santoro

«Mi piace ricordare un eroico testimone dei nostri giorni, don Andrea Santoro, sacerdote della diocesi di Roma e missionario in Turchia… Questo esempio di un uomo dei nostri tempi, e tanti altri, ci sostengano nell’offrire la nostra vita come dono d’amore ai fratelli, ad imitazione di Gesù». Così papa Francesco parla di don Andrea Santoro, sacerdote, parroco, testimone di Cristo fino alla morte in Turchia, dove aveva chiesto di andare come sacerdote ‘fidei donum’ della diocesi di Roma.

Una vita donata al Signore per gli altri. Don Andrea nasce a Priverno nel 1945. Poi, con la famiglia, si trasferisce a Roma dove il 18 ottobre 1970 viene ordinato sacerdote. Viceparroco nelle parrocchie di S.S. Marcellino e Pietro e della Trasfigurazione, nel 1980 chiede di trascorrere sei mesi in Medio Oriente prima di iniziare la sua attività di parroco a Verderocca e poi nella parrocchia dei S.S. Fabiano e Venanzio (dal 1994 al 2000).

Una vita intensa, fatta di relazioni, di piccole e grandi attenzioni agli altri: è vicino a quanti si trovano in difficoltà, con tutti vuole condividere la quotidianità con le sue gioie e i suoi problemi. Il Signore gli dona un cuore di pastore: cerca di costruire una comunità parrocchiale che sia “una famiglia di famiglie”, una comunità di “pietre vive”: “Cristo cerca noi anzitutto: noi siamo le pietre vive che ha più care”, scrive. In questi anni cresce in lui il desiderio di essere una vita offerta, spezzata, donata per gli altri: «Chi andrà Signore? Se vuoi, manda me. Se vuoi, fa’ che qualcuno possa andare, e me tra essi, per raccogliere questi pani, queste coppe di vino e farne una Eucaristia», scrive nel suo decimo anniversario di Messa.

Don Andrea propone a tutti, attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la partecipazione ai sacramenti, un cammino di fede per essere non solo bravi cristiani ma santi. «Noi cristiani – scriverà nel 2001 – abbiamo come osservatorio fondamentale non un esperto o un inviato speciale ma il vangelo, anzi Cristo in persona: povero, umile, mite, piagato e crocifisso, deposto nel sepolcro (sceso cioè negli inferi più tenebrosi della storia) risuscitato dalla potenza del Padre. Abbiamo come osservatorio i santi e i martiri…».

L’esperienza di fede è radicata nel colloquio personale con Dio, nel silenzio, nell’ascolto della Parola. La sua Bibbia, che porta sempre con se’, ha le pagine scritte a margine, sottolineate, ‘vissute’. Il rapporto personale con il Signore illumina anche i momenti più difficili della vita, nei quali l’uomo chiede a Dio: Dove sei? Di fronte alla tragedia dello Tzunami del 2004, don Andrea scrive: «Non credo in Dio perché tutto va bene, ma siccome credo in Dio credo che in tutto c’è un bene nascosto che prima o poi verrà a galla. Non credo in Dio perché lo vedo, ma siccome credo in Dio lo vedo sempre misteriosamente all’opera. Solo attendo di capirlo».

Dopo dodici anni come parroco, parte per un pellegrinaggio in Turchia sulle orme degli Apostoli, poi in Siria e in Libano, ritornando sempre a Roma nella parrocchia dei Santi Fabiano e Venanzio. A poco a poco avverte la chiamata a tornare in quelle terre per essere presenza viva del Signore. Nel 2000 parte per l’Anatolia, soggiornando prima ad Urfa e successivamente a Trabzon. Parte “non per convertire, ma per convertirsi”, spiega a tutti. Dalla Turchia, scrive: «Sono qui per abitare in mezzo a questa gente e permettere a Gesù di farlo prestandogli la mia carne». Una vita ‘ordinaria’, nella quale don Andrea riesce a tessere legami di amicizia con tutti, cercando sempre di creare unità anche nella diversità, di essere una mano d’aiuto sempre tesa e una porta sempre aperta, di essere segno della presenza di Cristo in un paese che conta la presenza di pochissimi cristiani. Il 5 febbraio 2006 viene ucciso nella chiesa di s. Maria a Trabzon mentre prega con la Bibbia tra le mani, trapassata da uno dei proiettili che lo hanno colpito alle spalle.

Anche quest’anno, nel giorno della sua nascita al cielo, le sue parole sono un incoraggiamento a vivere intensamente la gioia di una vita donata agli altri: «Solo di una cosa bisogna avere paura: di non essere cristiani, di essere, come diceva Gesù, un “sale senza sapore”, una luce spenta o un lievito senza vita».

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