Dittature soft

L’ultimo è Lukashenko. Il crescere di regimi autoritari nell’Est, pur frutto di elezioni “democratiche”, dovrebbe interrogare l’Europa sulla sua scarsità di idealità
Dittatura Soft © Michele Zanzucchi 2015

Non pochi Paesi all’Est dell’Europa cosiddetta occidentale – in prevalenza del blocco ex-sovietico, ma non solo – conoscono derive nazionaliste che inquietano non poco. I nomi sono sulle prime pagine dei giornali, li conosciamo tutti. Sono “dittature soft”, come si dice, regimi eletti “democraticamente” che tendono, anche trincerandosi dietro i più nobili sentimenti, a restringere il raggio di quella libertà che è insita nella natura stessa dell’Europa unita.

 

I tratti distintivi di queste “dittature soft” sono comuni: leggi non inclusive ma esclusive tendenti a preservare l’identità nazionale, barriere di ogni genere alle frontiere, bavaglio alla stampa e agli intellettuali, disprezzo delle minoranze, arroganza nelle strategie di comunicazione, tendenza ai brogli elettorali, uso della ben nota “strategia della tensione” per giustificare la propria permanenza al potere.

 

Ma c’è dell’altro: credo che l’Europa occidentale debba cercare di capire i motivi di queste “dittature soft” per poterle isolare, o anestetizzare: credo in particolare che, dopo la caduta del muro di Berlino, non si sia capito che il puro liberismo economico non avrebbe nutrito a sufficienza la sete di democrazia di popolazioni stremate dal comunismo o dal socialismo, o anche dal kemalismo. Serviva un’idealità che l’Europa non era più in grado di proporre, quel mix di giustizia, libertà, pace, uguaglianza e fraternità che aveva animato l’Europa di Adenauer, Monet, Schuman, De Gasperi… Il “tutto-economia-liberale” non ha nutrito popolazioni che venivano da uno speculare “tutto-economia-pianificata”.

 

Credo che l’Europa occidentale debba mettersi all’ascolto delle ragioni di chi elegge “dittatori soft”, che appaiono ai loro occhi più credibili di una democrazia senza idealità. E ritrovare un po’ di idealità nella sua azione. La sfida migratoria credo sia in grado di risvegliare i valori dell’accoglienza e della giustizia, così come la sfida della guerra in Siria (se la si evitasse) potrebbe risvegliare i valori della pace e della fraternità.

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