I disabili e la fede

Vivere l’esperienza della fede insieme alle persone con disabilità, alla scoperta del dono che è in ciascuno, sentirsi fratelli e compagni di strada lungo tutto il corso della vita. Se ne è parlato al convegno che si è svolto in questi giorni a Sacrofano sul tema «La comunità generativa. L’accompagnamento della persona con disabilità alla vita cristiana». Abbiamo intervistato Suor Veronica Donatello, Responsabile del settore per la catechesi delle persone disabili dell'Ufficio catechistico nazionale della Cei.

Suor Veronica, come è nata l’idea di questo Convegno?

Se in un tempo l’esigenza è stata rispondere a chi aveva dei dubbi se dare o meno i sacramenti alle persone con disabilità, oggi c’è un altro passaggio che siamo chiamati a fare come comunità cristiana. Il termine chiave su cui poggia tutto è “la comunità generativa”, cioè una comunità non è chiamata solo a dare i sacramenti o ad amministrarli, ma ad essere generativa. Siamo chiamati ad iniziare dei processi, più che ad occupare degli spazi, a mettere in atto dei processi generativi, che creano vita. Quindi il focus è: la comunità che si riappropria del suo essere generativa è comunità che genera sia alla vita umana e soprattutto alla vita di fede. Tutti siamo chiamati ad essere accompagnati e accompagnare significa essere compagni di questo viaggio. L’accompagnamento non è mai unidirezionale, anche perché la disabilità è una condizione permanente, non transitoria, allora noi siamo chiamati a far sì che quella vita diventi un luogo di vita profetico. La santità, come il papa ci ha detto, è la santità per tutti e chi vive accanto a loro sperimenta che hanno una modalità di porsi in relazione con il Signore che va ben oltre la comprensione, il cognitivo, il capire, il verbalizzare perchè non è solo questo l’unico modo in cui si può seguire ed incontrare il Signore.

Avete voluto porre l’accento sull’accompagnamento in tutte le fasi della vita. Perché?

Quest’anno, come gli orientamenti per la catechesi Incontriamo Gesù, nn. 22-24 ci invitano ad accompagnare alla vita cristiana, abbiamo voluto fare un salto con i nostri responsabili delle Diocesi, dei Movimenti, delle Associazioni: accompagnare in tutto l’arco della vita. Si è lavorato tanto sull’iniziazione cristiana perchè c’era l’urgenza che piano piano le comunità imparassero a uscire da una catechesi speciale legata alla fedeltà al testo scritto più che all’uomo, che imparassero a mettere in moto altre risorse, una pedagogia multipla, il corpo, i sensi, ma soprattutto la relazione. La finalità è la relazione. La catechesi può essere un luogo fecondo, generativo, dove si sperimentano le relazioni tra pari, quindi il lavoro grande che si è fatto in questi anni sull’adattare il testo, sull’adattare i vari linguaggi, sul far sì che piano piano le comunità si rendano conto che veramente è un luogo per tutti.

Ma è sufficiente solo la fascia dell’iniziazione cristiana?

Noi abbiamo lavorato sulla fascia dei giovani quindi la fascia dell’affettività, delle relazioni, dell’identità del gruppo, sugli oratori, su alcune parrocchie che hanno messo in atto alcune risposte. Abbiamo conosciuto alcuni catechisti con disabilità. Sulla fascia degli adulti con disabilità non ci sono proposte all’interno delle parrocchie, dove loro possono mettere a frutto i loro talenti, le loro potenzialità. Ci siamo messi in ascolto di alcune diocesi e Associazioni che insieme hanno dato delle risposte. In ultimo, l’accompagnamento degli anziani con disabilità, perchè ci si è resi conto in questi ultimi anni che nell’ultima fascia della vita – che forse è la più importante, la più bella – nessuno accompagna loro all’incontro con il Signore, pochi accompagnano loro davanti a dinamiche di morte, di lutto. Ci sono due esperienze che abbiamo provato a condividere: due realtà che stanno dando delle risposte di accompagnamento spirituale. Ci hanno aiutato Mons. Semeraro che ha fatto un lavoro sulla comunità generativa, poi il prof. Corti e il prof. Franchini che hanno fatto dei lavori molto importanti sulla direzione spirituale delle persone con disturbi del neurosviluppo.

Una comunità che cammina insieme cresce nella fede. Quanto è importante l’accompagnamento alla vita di fede?

A livello di Chiesa si lavora molto poco sulla dinamica dell’accompagnamento e della crescita spirituale. A volte è definito per i giovani in ricerca vocazionale, per coppie, per tempi di crisi, ma occorre che diventi prassi un accompagnamento alla vita cristiana con le persone con disabilità. Alcune associazioni lo fanno, però poi nelle parrocchie viene lasciato alla buona volontà, alla sensibilità del catechista, del parroco, del genitore. L’accompagnamento è riconoscersi fratelli, camminare insieme, condividere e più che mai con le persone non verbali, con le persone con autismo, con disabilità intellettiva. Ci sono lavori scientifici che dicono che, chi di loro ha fatto un cammino, si è riconciliato con la propria disabilità, ha accolto un dono, ha scoperto che la propria vita ha un senso. È bello sapere che la tua vita ha un senso non perchè “produci”, ma proprio perchè esisti e sei in un contesto che ti fa cogliere questo.

Quest’anno cosa avete voluto sottolineare?

Abbiamo voluto riflettere sull’accompagnamento alla vita cristiana, alla vita di fede responsabilizzando la comunità. Ci siamo fatti aiutare da qualcuno che ha introdotto queste fasi della vita in ambito cristiano e da brevi testimonianze di alcune diocesi. Qualcuno ha messo su una cucina creativa con il Masci e la parrocchia e ora la vorranno aprire alla Caritas. Risposte multiple dove ognuno scopre che ha dei talenti da condividere, ad esempio dando da mangiare agli ultimi, però sono persone con disabilità che cucinano. La Diocesi di Rimini che con la Comunità Giovanni XXIII fa un lavoro di accoglienza delle coppie, di supporto, di formazione. La cosa bella è rendersi conto che c’è una comunità che con te cammina, che ti accompagna e che nell’accompagnamento si modifica. Credo che questa sia la chiave: il modificarsi insieme.

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