La battaglia di Rodrigo per la sua terra

Rodrigo Tot, indigeno insignito del Premio Goldman, guida la sua gente per ottenere i diritti di proprietà delle terre abitate da sempre

È un semplice agricoltore guatemalteco di 60 anni uno dei vincitori del Premio Goldman di quest’anno. Rodrigo Tot appartiene alla comunità indigena Q’eqchi, che fa parte dell’etnia maya del Guatemala. Da anni insieme ai suoi compaesani porta avanti una battaglia per difendere i loro diritti di proprietà sulla terra dalle pretese di una compagnia mineraria. Col suo fare semplice, Tot, che è pastore evangelico oltre che leader indigeno, sostiene che questo riconoscimento non cambia niente, anzi  «è uno stimolo» per andare avanti.  Gente come Rodrigo non va mai in cerca di premi, ma di giustizia. Vedremo perché.

Il premio viene concesso annualmente dalla Fondazione Goldman a sei persone che nel mondo si siano distinte nella difesa della natura e dell’ambiente. Nel caso di Tot, la motivazione della giuria mette in risalto l’«intrepida guida del suo popolo e la difesa della sua terra ancestrale» nonostante i rischi, le minacce e l’assassinio di suo figlio avvenuto cinque anni fa, in circostanze che fanno pensare a una connessione col suo attivismo sociale.

Lui dice di sentirsi tranquillo. Eppure, motivi per non esserlo Tot ne avrebbe a bizzeffe. Basta dare una lettura alle cronache della regione: l’America Latina è una delle più pericolose per i difensori dell’ambiente. Durante l’ultimo anno sono stati assassinati proprio due vincitori di edizioni precedenti del Premio Goldman: l’honduregna Berta Cáceres (2015) e il messicano Isidro Baldenegro (2005). Global Witness segnala che tra il 2010 e il 2014 ben 450 attivisti ambientali sono stati uccisi a motivo della loro lotta. Ne sanno qualcosa gli attivisti colombiani e anche i brasiliani di Belo Monte.

Il viaggio fino alla comunità dove vive Tot non è agevole. Bisogna addentrarsi nei boschi e le montagne del bellissimo Guatemala per giungere fino ad Agua Caliente “Lote 9“, dove ha trascorso quasi tutta la sua vita. Siamo tra le montagne del municipio di El Estor a circa 300 km dalla capitale. Una zona dove abbondano le risorse naturali, come sorgenti d’acqua e anche minerali come l’oro e il nichel ambiti dalle compagnie minerarie.

Si direbbe una comunità isolata, ma che non è stata risparmiata dai 36 anni di duro conflitto interno, nel quale spesso le comunità indigene pagarono il prezzo di trovarsi in mezzo al fuoco incrociato della guerriglia e dei militari. Un ex presidente, Efraín Ríos Montt, ha ottenuto per il rotto della cuffia e grazie a un cavillo legale l’annullamento della condanna a 80 anni per le gravi violazioni dei diritti umani di cui si macchiò. Ma questa è un altra storia.

Una delle due battaglie in corso, che hanno motivato il premio Godman è iniziata 43 anni or sono. Quando la sua comunità presentò davanti alle autorità statali il reclamo per la restituzione dei titoli di proprietà di Tot e di altri 63 coltivatori, scomparsi nonostante avessero pagato per regolarizzare la loro posizione.

Nel 1972 una modifica nella legislazione nazionale impose a ciascuno dei 64 proprietari di terreni della zona il pagamento di circa 4.500 dollari statunitensi per ottenere i titoli di proprietà. Nonostante si iniziasse il pagamento delle rate, i documenti non fecero mai la loro apparizione. I coltivatori ottennero nel 1985 un titolo provvisorio che riconosceva il loro diritto sempre e quando continuassero a pagare quanto stabilito. Nel 1988, però, vari fogli del libro dove furono scritturate le terre sparirono misteriosamente. Non avendo altra scelta, Tot e i suoi paesani continuarono lo stesso a pagare fino a cancellare quanto dovuto nel 2002. Ciò nonostante, lo Stato non consegnò loro la documentazione con la scusa che era necessario un procedimento giudiziale per ricostruire i fogli perduti del libro delle proprietà. Da allora Tot e gli abitanti della comunità cercano strenuamente di ottenere giustizia.

Una situazione di per sé difficile alla quale, dal 2004 in avanti, si aggiunse il problema intorno alle risorse minerarie. Quell’anno il ministero per l’Energie e le Miniere concesse licenze per l’esplorazione nella zona, l’ultima per una durata di 25 anni alla Compañía Guatemalteca de Níquel CGN. La licenza consente di installare una pianta per la produzione del nichel e ricercare diversi altri minerali in 16 comunità maya, tra le quali quella del nostro Tot. Gli abitanti si sono opposti alla concessione, con l’argomento dei danni ambientali ai boschi e alle sorgenti d’acqua. Il che ha reso ancor più necessario ottenere quanto prima una maggiore certezza giuridica sulla proprietà delle terre interessate.

La lotta non è ad armi pari. I reclami delle comunità indigene spesso cadono nel vuoto. Anzi, per la ong CALAS, che difende i diritti delle popolazioni in questo tipo di conflitti, nel 100% dei casi le autorità statali appoggiano gli interessi delle compagnie minerarie.  Nel marzo scorso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani, che fa parte del sistema della Organizzazione degli Stati Americani, ha accettato l’ammissibilità del ricorso presentato da Tot, nel quale denuncia che lo stato guatemalteco ha violato i diritti di dominio collettivo sulle terre e le risorse naturali, la libera determinazione e l’autogoverno dei popoli indigeni al negare loro la consegna dei titoli di proprietà.

Informata sulla situazione locale, dal 2012 la Commissione ha anche ordinato l’adozione di misure di sicurezza nei confronti di Tot e del suo avvocato. Una indicazione ignorata dalle autorità locali, che ripete quanto avvenuto nel vicino Honduras e che ha consentito di agire liberamente agli assassini di Berta Cáceres.

Tot va avanti lo stesso. Conta sull’appoggio della sua comunità e sui valori che cerca di difendere insieme agli altri q’eqchis. Il dolore lo ha colpito pesantemente. Si crede che l’assassinio di suo figlio sia stato motivato dall’intenzione di intimorire la sua comunità.

«Non siamo più negli anni 80 – afferma energicamente –, quando liquidavano un leader e tutto era messo a silenzio. Oggi no, quando sparisce uno di noi, se ne alzano dieci. Questo è il nostro vantaggio».

In Guatemala come in Honduras, in Brasile come in Colombia o anche in Africa, l’azione dei media in questi casi diventa un servizio di grande valore, evitando che situazioni come quella di Tot e del suo popolo resti avvolta dal silenzio. Per molto tempo, troppo, le ingiustizie più efferate hanno usato queste terribili zone d’ombra.

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