Diario dalla Siria/14

Le cannonate via terra e i passaggi degli aerei rendono difficile i collegamenti con Damasco. Si invoca la tregua. Si prega con il Time out, cristiani e musulmani insieme. Le strade sono minate e in certi quartieri non si entra da oltre un anno
Guerra in Siria

«La situazione nella periferia di Damasco si sta facendo più drammatica. Basta ascoltare i colpi ripetuti delle cannonate, anche notturni, e il passaggio degli aerei per rendersi conto che non siamo ancora arrivati alla parola tregua! Eppure la speriamo. E la chiediamo. Ho saputo da Rim che ha proposto il time-out per la pace a tutte le sue allieve, a grande maggioranza musulmane, in un Centro che le ospita e dove imparano il mestiere di sarte.

La proposta è caduta su un terreno lavorato per mesi, pazientemente. Già, perché tra di loro ci sono donne di tutte le confessioni i cui mariti sono decisamente e violentemente schierati contro il Governo e lo contrastano in vari modi, ma anche altre che invece lo sostengono a spada tratta. Ci sono ferite da entrambe le parti. C’è chi ha perso la casa ma anche chi ha perso parenti. Un lavoro duro di riconciliazione si consuma in questo laboratorio e Rim cuce non solo tessuti, ma rapporti, e i frutti sono visibili: dopo otto mesi ognuna, salvo qualche rarissima eccezione, accetta l’altra, cerca di capirla nelle sue posizioni e addirittura nelle ricorrenze per le musulmane e a Natale per le cristiane si sono fatte gli auguri reciprocamente, preparando dolci per l’occasione.

Quando Rim ha proposto il time-out, nessuna ha avuto alcun dubbio: è la sola strada da percorrere. E il primo giorno decine di cellulari hanno cominciato a suonare in classe, un vero concerto. Rim è rimasta sconcertata, quasi si è spazientita: «Non eravamo d’accordo che i cellulari si chiudevano?». Poi guarda l’ora: sono le 12!

L'altra sera ho telefonato a Maryam di Homs, per avere notizie, da tempo non riesco a raggiungerla. Mi conferma che anche a suo avviso ci vuole un intervento deciso di Dio, che ci aiuti anche a non perderla, la fede. La sento profondamente scossa in questa attesa della pace tanto sospirata. Ne ha viste tante, nella città!

Da dieci mesi è sfollata in un paesino vicino. La casa dei genitori non esiste più ma il padre anziano non lo sa, sarebbe troppo per lui. La sua, se è vero quello che hanno detto certi conoscenti, è semidistrutta e sicuramente saccheggiata. Si trovava nei quartieri delle chiese antiche e dei vescovadi, ma in quello e nei quartieri adiacenti non si entra più, da un anno. Addirittura le strade sono state minate. Il figlio di Maryam è tornato da Raqqa dove si era trasferito per poter continuare l’università perché anche lì la situazione si fa molto difficile. Se ne sta a casa tutto il giorno. Ora, mi dice, un'altra preoccupazione: a fine mese dobbiamo lasciare la casa che abbiamo preso in affitto: dove andremo?»

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