Dialoghi sul Bosforo

Incontri e sorprese in quel di Istanbul, al confine tra Europa e Asia, tra Islam e cristianesimo, tra Nord e Sud…
Bosforo

Mi trovo a Istanbul quasi per caso. La Turchia di fine primo decennio del XXI secolo si presenta come un vero crogiolo di etnie, tradizioni e tendenze religiose, ancorché unificate dalla quasi spasmodica ricerca e difesa a oltranza della laicità, che, come volle Kemal Pasha-Atatürk, padre della patria, deve precedere, assieme alla nazionalità turca, tutte le altre identità.

Alcuni amici nella metropoli euro-asiatica e uno studente turco a Roma mi hanno fissato alcuni incontri con esponenti della galassia Islam.

 

Personalità “esplosive”

 

Primo appuntamento con un avvocato dalla personalità esplosiva. Ha lavorato alla Caritas, dove ha conosciuto non poco del mondo cristiano. L’aspetto decisivo della sua vita è stato l’incontro con un maestro di fede, un effendi. Ne ha seguito la “via spirituale”, la tariquat, vivendo una esperienza profondamente mistica. Ma, soprattutto, continua a viverla nella quotidianità convulsa della metropoli euroasiatica, nelle questioni della famiglia e della professione. Il suo «relazionarsi con Dio» è il punto di riferimento di ogni momento della sua vita, anche di quello che stiamo vivendo insieme in un ristorante della centralissima piazza di Taksim.

Il colloquio è coinvolgente, intenso e di una profondità che fa smarrire il senso del tempo. Continuiamo a parlare per tre ore, senza sosta: colgo la dimensione mistica dell’Islam, vissuta sulla scia della grande tradizione sufi, che qui in Turchia ha avuto una presenza fondamentale e che, ancor oggi, sebbene velatamente, conserva una forza trascinante.

Ma c’è di più: m’imbatto nella realtà laica, che permea la vita del Paese. Qui la religione resta un fatto strettamente privato. Mi accorgo quanto questa coscienza sia onnipresente allorché, al ristorante, dobbiamo scegliere il tavolo. Nel giardino all’aperto sembrerebbe la cosa migliore, visto il caldo, ma si dovrebbe alzare la voce col rischio di essere ascoltati da altri avventori. Non sembra opportuno, visto l’argomento della nostra conversazione. Si confabula col personale, senza ovviamente rivelare il vero perché di tale difficoltà. I clienti saranno pochi, ci assicurano: potremo parlare indisturbati e, soprattutto, non ascoltati. E durante la cena, all’arrivo dei camerieri, cambiamo discorso, attendiamo con calma che si allontanino, poi riprendiamo. Mistica e laicità convivono nella Istanbul del 2009.

 

Quelli di Fethullah Gülen

 

È un aspetto che emerge anche nell’incontro con il grande movimento fondato da Fethullah Gülen, un riformatore, oggi sulla settantina. È un filone spirituale e sociale insieme, seguito da milioni di turchi, e da decine di milioni di musulmani nel mondo. Difficile stabilire il suo raggio d’influenza: ha dato vita, per circoscrivere l’inventario a un canale televisivo, a diverse riviste e ad un quotidiano, pubblicato sia in turco che in inglese. Soprattutto, ha fatto della formazione delle nuove generazioni, nel nome della misericordia, del dialogo e dell’amore, la sua priorità assoluta. Il movimento gestisce a Istanbul la Fatih University: 10 mila studenti, metà stranieri. Non si contano le scuole e le altre istituzioni soprattutto all’estero, nei Paesi caucasici in particolare, a forte maggioranza di etnia turca. Progressivamente si è poi aperto a un dialogo con le altre fedi, in particolare cristianesimo ed ebraismo.

Da anni, tuttavia, è al centro di controversie non indifferenti con denunce, processi e attacchi frontali sia dei media che del governo. Il fondatore, da tempo negli Stati Uniti, non è ancora potuto rientrare in Turchia. Da un lato, mi spiegano, Gülen ha inteso riempire il vuoto di valori religiosi lasciato dal kemalismo, che ha confinato la religione nel privato, garantendo una distinzione fra religione e politica, ma aprendo un baratro nella dimensione spirituale dell’uomo e della comunità. Dall’altro, in molti c’è il timore che una tale massa di persone possa essere strumentalizzata per fare della Turchia un nuovo Iran, dove il dominio del religioso possa riprendere il sopravvento sulla sfera pubblica.

A spiegarmi questo fenomeno religioso-sociale di rinnovamento della sfera islamica sono due suoi rappresentanti di primissimo piano: uno è corrispondente del quotidiano Zaman (Tempo), mentre l’altro è alto esponente della Journalists and Writers Foundation. Col primo, nella modernissima sede del giornale, la conversazione si rivela un appassionante intreccio d’esperienze e riflessioni sul dialogo interreligioso. Conosce bene la posizione della Chiesa cattolica, per aver lavorato all’estero come corrispondente. Ha l’impressione che alcune esperienze siano ben più avanzate delle posizioni ufficiali. Parliamo, quindi, della tradizione e del magistero, come pure della riflessione teologica e della dimensione carismatica della Chiesa che ha espresso – è vero! – negli ultimi decenni vie di dialogo, assolutamente innovative, anche se profondamente radicate in entrambe.

Per contro, emerge con chiarezza la mancanza di un’autorità riconosciuta in tutto l’Islam che possa garantire la fedeltà di un contributo carismatico alla natura vera del Corano. È questo, secondo il giornalista, uno dei problemi fondamentali del Gülen Movement, che si trova impegnato in una complessa operazione di mediazione intesa a dimostrare come quel che il leader afferma e predica da decenni sia espressione genuina dell’Islam, radicata nella rivelazione divina, espressa nel Libro.

Il dirigente della Journalists and Writers Foundation mi spiega, invece, che il movimento si è sviluppato senza strutturarsi in modo gerarchico e mi mostra un interessantissimo video sul loro lavoro d’impegno nel dialogo fra le religioni. Le iniziative sono molteplici, soprattutto, a livello panasiatico, o meglio euro-panasiatico. Ci rendiamo conto delle affinità che legano il movimenti ad analoghi gruppi cristiani o ebrei, soprattutto perché dalla fraternità di credenti nel rispetto e nell’amore vicendevoli nasce la luce ispiratrice del dialogo in varie esperienze.

 

L’industriale

 

La sera, accetto un invito a cena. Dopo aver attraversato l’immensa metropoli costantinopolitana, mi ritrovo a un’ottantina di chilometri dal centro di Istanbul, sulla E6, la grande arteria che porta verso la Bulgaria. L’ospite mi accoglie in un giardino della sua residenza in riva al Mar di Marmara. È uno dei più grandi industriali della Turchia, con un fatturato annuo da capogiro. Sostiene gli studi di 500 studenti stranieri, oltre che aver finanziato la costruzione di una delle scuole del movimento di Gülen. Professione e business non sono legati solo a interessi personali. C’è una vita di fede coerente, che ispira a condividere con altri ciò che Allah manda come benedizione anche in natura e milioni di euro.

La cena, sotto una pergola con piatti – ottimi, va detto – di verdure varie, è una garanzia di qualità. Tutti gli ortaggi che ci troviamo davanti sono coltivati nella proprietà dove ci troviamo con trattamento assolutamente biologico: una coerenza che coniuga l’ispirazione religiosa con interessi economici, vita di famiglia, contributi alla società, testimonianza di valori e attenzione all’ambiente.

 

L’intellettuale

 

L’ultimo incontro è con un professore universitario al Dipartimento di studi teologici dell’università, dove insegna religioni comparate. Profondamente laico, non fa alcun accenno alla sua fede, ma si rivela un accademico impegnato a contribuire a un approccio positivo fra le religioni che aiuti nel dialogo e nella comprensione. Per questo ha tradotto in turco Fides et Ratio ed altri documenti della Chiesa cattolica. Desidera che i suoi studenti abbiano un contatto diretto con i testi e le fonti.

Per il nostro dialogo scegliamo un ristorante dove si mangiano dei kebab deliziosi. Nel corso della conversazione emerge chiaramente come l’insegnamento non debba essere solo per finalità accademiche, per altro rigorose, ma anche per aprire le nuove generazioni al dialogo fra le religioni e le culture. Per questo si è fatto promotore, con facoltà pontificie romane, di seminari su argomenti importanti per le tre “religioni del Libro”.

Viene in evidenza la frequente chiusura che emerge nel complesso mondo del dialogo, all’interno delle varie religioni, quasi il timore di fare passi troppo lunghi. Per questo parliamo anche delle posizioni della Chiesa cattolica e delle differenze fra l’approccio di Giovanni Paolo II e quello di Benedetto XVI. Sono aspetti difficili da comprendere e da leggere, soprattutto per un musulmano. Ciò che mi pare importante è però la possibilità di parlarne apertamente.

Dall’impegno di Benedetto XVI nel fugare il pericolo del relativismo e dell’indifferentismo fra le religioni come vie di salvezza, quasi casuali, come sembrerebbe recitare un atteggiamento superficiale di dialogo, emerge l’accordo sulla necessità di una formazione di base solida e ben radicata nella propria tradizione, senza cadere, sottolinea l’interlocutore musulmano, nella tentazione di chiudersi. Formare alla propria fede significa favorire un’apertura maggiore verso l’altro. Ci lasciamo dopo due ore di conversazione serrata eppure caratterizzata da un ascolto profondo.

 

Il ponte

 

Un avvocato, un accademico, un giornalista, un uomo d’affari di successo, il dirigente di un movimento di rinnovamento musulmano, nel cuore della laicità, di un Paese ponte fra due continenti, ma pure fra etnie e religioni. Anche sulle rive del Bosforo, nella Turchia, che difende la sua laicità e tenta la scalata all’Europa, si coglie quanto il dialogo non solo sia possibile, ma sia al centro delle aspirazioni dell’uomo del terzo millennio.

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