Destituito il presidente Lugo

Il presidente Fernando Lugo, vescovo dispensato dalle sue funzioni episcopali dal Vaticano, è stato sostituito dal suo vice, Federico Franco, alla guida del Paese con una manovra poco chiara. La protesta degli Stati Sudamericani e della popolazione
paraguay

Il Parlamento del Paraguay ha destituito dal suo incarico, in una sessione lampo, il presidente della Repubblica Fernando Lugo, a nove mesi dal termine del suo mandato. In patria e nella regione si parla di «colpo di Stato costituzionale» e i governi di Argentina, Brasile, Venezuela ed Ecuador hanno già annunciato, per bocca dei loro presidenti e dei ministri degli Esteri, che non riconosceranno la legittimità dell’attuale presidente, l’ex vicepresidente Federico Franco, del Partito liberale, e hanno promesso sanzioni, che potrebbero arrivare fino all’estromissione dall’Unasur, il blocco dei Paesi sudamericani. Come si è arrivati a tanto in meno di due settimane dall’inizio di una crisi politica che si è in realtà scatenata solo in questi ultimi giorni?

Lo scontro Il 15 aprile, nella località di Curuguaty, si sono verificati scontri armati tra i contadini del movimento “Senza Terra” e i poliziotti inviati dal governo per sgomberare l’appezzamento di terra incolta che era stato occupato illegalmente per protesta. Il bilancio è stato terribile: 11 morti fra i “Senza Terra” e gli agenti delle forze dell’ordine.
 
I “Senza Terra” Movimento spontaneo e non organizzato protestano da anni contro una situazione iniqua, che vede la terra concentrata nelle mani di pochissimi grandi proprietari terrieri. Si tratta di paraguaiani favoriti dalle donazioni clientelistiche degli eredi politici della cinquantennale dittatura del generale Alfredo Stroessner, i “colorados”, oggi all’opposizione, oltre a un rilevante numero di imprenditori brasiliani nella zona di frontiera. I proprietari terrieri possiedono enormi latifondi coltivati intensivamente a soia, che danno lavoro a pochissimi contadini specializzati (non è il caso dei “Senza Terra”): l’ottanta per cento della terra, in Paraguay, è nelle mani del due per cento della popolazione.
 
Il presidente Lugo Aveva promesso, sin dalla campagna elettorale e dal discorso di assunzione della carica, di porre un freno a questa ingiustizia con una riforma agraria attesa da decenni. Lugo era vescovo cattolico di San Pedro de Ycuamandiyú, il distretto più povero del Paese, e si è creato un enorme seguito popolare grazie al suo notevolissimo impegno per la giustizia sociale, a favore dei più poveri. Spinto dal movimento spontaneo nato attorno alla sua figura, ha ufficializzato, contro il parere della Chiesa paraguaiana, la sua candidatura alla presidenza, alla guida del Movimento cittadino Tekoyoyá, in alleanza con il Partito liberale con cui ha formato una coalizione di centrosinistra. I liberali erano e sono gli eterni rivali del Partito Colorado.
 
Tra l’esultanza in massa di un popolo che sperava finalmente in un cambiamento radicale, Lugo è stato eletto presidente della Repubblica (a regime presidenzialista) e proclamato tale il 15 agosto 2008. Subito, dal Vaticano è arrivata la dispensa dall’esercizio delle funzioni episcopali e sacerdotali e Lugo ha ringraziato sinceramente, dichiarandosi un figlio grato della madre Chiesa.
 
I suoi successi Ma le difficili condizioni in cui si è trovato a esercitare il potere esecutivo sono state subito evidenti e hanno rallentato ogni impulso e ogni provvedimento. Ciononostante, si sono raggiunti in questi anni grandi traguardi, per esempio nel sociale, con l’universalizzazione delle cure mediche gratuite per tutta la popolazione (prima, chi viveva nella profonda campagna tropicale e si ammalava anche solo di una polmonite forte, era nei fatti condannato a morte). In politica economica era riuscito a portare a termine faticosi negoziati con Brasile e Argentina per un giusto pagamento degli eccedenti delle centrali idroelettriche binazionali di Itaipú (la seconda al mondo) e Yaciretá, le fonti principali di energia e di ricchezza per il Paese.
 
Ma le rivendicazioni degli indigeni e dei contadini senza terra sono cresciute e rimaste sostanzialmente senza riposta, fino ai dolorosi fatti di Curuguaty, che hanno scatenato una reazione a catena, conclusasi con l’impeachment del presidente. Questi fatti non sono ancora stati chiariti del tutto, ma appare evidente che sono stati orchestrati con fini precisi, perché i contadini non solo avevano ottime armi, ma erano stati bene addestrati sul come usarle. Tra le poche cose certe, possiamo dire che sono stati reclutati da agitatori sociali, probabilmente vincolati da un piccolo ma attivo gruppo guerrigliero della zona, autodenominatosi "Esercito del popolo paraguaiano". È possibile che l’azione rientri in un processo di rivalsa dei proprietari terrieri scontenti delle prime misure promosse da Lugo per limitare il possesso della terra.
 
L'impeachment e la destituzione di Lugo Ad ogni modo, Lugo ha proceduto immediatamente alla destituzione del suo ministro dell’Interno e del capo della polizia. Ma i “colorados” dell’opposizione, e persino i liberali, suoi alleati, hanno colto al balzo l’occasione per riprendere il potere, e hanno avviato a tempo record il processo per il giudizio politico (impeachment) del presidente, consumatosi in meno di 24 ore, invocando la causale, molto discutibile, ma pienamente costituzionale, del «cattivo disimpegno delle sue funzioni» (articolo 225 della Carta Magna).
 
“Colorados” e liberali insieme sommano il 66 per cento di Senato e Camera dei deputati e non hanno avuto difficoltà a mettere insieme i voti necessari per la destituzione, consumatasi per 39 voti contro 4 nel Senato. La gente ha manifestato nelle piazze della capitale con qualche piccola sommossa. Il 67 per cento della popolazione, secondo un’inchiesta pubblicata dal settimanale di sinistra “E’a”, si dichiara contrario all’impeachment.

La protesta degli Stati sudamericani I governi dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) hanno tentato una disperata quanto inutile mediazione, inviando i propri ministri degli Esteri nella capitale paraguaiana, dove si sono riuniti con Lugo, con il vicepresidente, ora suo successore, Federico Franco, e con i parlamentari. La situazione ricorda quanto avvenuto in Honduras, per i vizi con i quali è avvenuta la destituzione: sono state concesse, con meno di 12 ore di preavviso, solo due ore per la difesa di Lugo, la cui fine era innegabilmente annunciata.
 
Ora i governi della regione (quello uruguaiano non si è ancora pronunciato) negano la legittimità del processo che ha portato all’assunzione del liberale Federico Franco come presidente della Repubblica, non riconoscono il suo governo e minacciano di escluderlo dall’Unasur. Gli Stati Uniti si sono pronunciati tiepidamente affinché si rispettino i procedimenti costituzionali. Più di uno insinua che non siano esenti da responsabilità politiche e da un certo interventismo nell’ombra.
 
La protesta della popolazione La gente è spaesata. C’è un clima pesante, di gran tristezza e desolazione. Lugo nel suo discorso finale ha parlato pacatamente di «tradimento non a Fernando Lugo, ma alla storia del Paraguay» e alla democrazia, e ha spinto a una protesta pacifica. Il neopresidente Franco ha pronunciato un discorso surreale nel quale ha promesso di tutto, fabbriche accanto ai luoghi di produzione, prosperità e giustizia. È presto, naturalmente, per prevedere che cosa succederà. È un duro colpo per il popolo. E anche per la credibilità democratica del Paese, che sta attraversando un eccezionale periodo di boom economico, trainato dai prezzi delle materie prime, come la soia e la carne, con una crescita dell’economia vicina, e in alcuni momenti superiore, alle due cifre percentuali.
 
La speranza risiede in un certo inedito risveglio di partecipazione del popolo alla cosa pubblica, popolo che nel maggio scorso era riuscito a fare pressione sul Parlamento fino a ribaltare la decisione legislativa di destinare un’ingente somma di denaro all’organismo incaricato dei processi elettorali, una misura che nascondeva, ma neppure troppo bene, una consolidata pratica clientelistica.
 
La seconda battaglia di piazza, quella per lo sblocco delle cosiddette liste elettorali “a lenzuola” (altra pratica clientelistica, con la quale chi vota una lista vota automaticamente non solo chi sceglie, ma anche le persone, spesso sconosciute, che integrano la lista), è terminata con una sconfitta, ma anche con la fuga letterale dei senatori dalla porta posteriore del Congresso, per paura di un linciaggio.
 
Questo risvegliarsi è il fatto nuovo che, se crescerà, potrà far sentire la casta politica, in gran parte corrotta, controllata e non più libera di fare ciò che vuole in modo sfacciato, favorendo la nascita di una nuova generazione, incipiente, che esiste, nelle file del “luguismo” ma anche del “coloradismo”, una generazione che cerca davvero il bene comune di tutti i paraguaiani.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons