Il destino di Anis Amri

Si può fare qualcosa per i migranti affetti da un disturbo psicologico? Sì, esistono centri di accoglienza dedicati. Una riflessione fuori dal coro

L’uccisione di Anis Amri su una piazza italiana ha sollevato moltissime questioni. Amri è un giovane ragazzo tunisino, giunto in Italia nel periodo della “primavera araba” nel 2011. Al suo arrivo a Lampedusa aveva partecipato all’incendio di un padiglione del centro di accoglienza. Poi aveva danneggiato i locali di una comunità di accoglienza nei pressi di Catania. Non era mai riuscito ad inserirsi nel nostro tessuto sociale. Anche la direttrice del carcere siciliano in cui è stato quattro anni lo ha descritto come un giovane difficile, incapace di relazionarsi con le altre persone e di rispettare le regole minime della convivenza, con evidenti problemi psicologici.

Le indagini ora faranno il loro corso, per l’Italia questa è l’occasione per dimostrare all’Europa di sapere gestire gli immigrati in ogni circostanza e in ogni momento. Gli interrogativi che i giornalisti sollevano nei notiziari hanno un tono molto inquietante e non aiutano certamente a leggere i fatti con obiettività. I commenti dei politici aggiungono ulteriori preoccupazioni grazie all’idiozia di alcune proposte del tipo: espulsioni di massa, sospensione dei trattati Shengen, blocco totale degli ingressi degli immigrati. Tutte ipotesi non realizzabili, ma l’importante è dare messaggi “forti e convincenti”.

 

Eppure l’esperienza personale mi suggerisce di non trascurare l’ipotesi più semplice ossia che questo ragazzo fosse affetto da un disturbo psicologico che nel tempo è aumentato e rafforzato in quanto non curato. E purtroppo è finito nella situazione peggiore, quella dell’esaltazione della violenza e dell’aggressività che di fatto avevano caratterizzato tutta la sua breve vita. Esistono modi per costringere una persona malata a sottoporsi a cure mediche e farmacologiche? No. Questa è la realtà, che vale per italiani e stranieri.

Tuttavia occorre far sapere che esistono alcuni centri di accoglienza dedicati all’accoglienza di immigrati che riconoscono di avere dei disturbi e aderiscono volontariamente ad un piano terapeutico: di norma le cure danno ottimi risultati e le persone, superata la fase acuta, riescono ad inserirsi nel territorio circostante al centro, che rimane sempre un punto di riferimento per ogni necessità.

 

Nel caso di Anis Amri molto probabilmente non si giungerà a individuare cellule terroristiche in Italia (forse non ci sono), ma non darà nemmeno lo spunto ad una riflessione sugli immigrati che hanno disturbi psichici. Purtroppo rimarrà l’emblema della pericolosità generalizzata degli immigrati e porterà ad inasprire ulteriormente sentimenti di astio, di diffidenza e di chiusura che stridono fortemente con il messaggio natalizio che riviviamo in questi giorni.

 

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