Delitto di solidarietà (democratica)?

Quando la carità diventa sociale e politica, cioè quel ‘noi’ che non discrimina, ma include ogni altra realtà, comportando una maggiore responsabilità
(AP Photo/Lynne Sladky)

Il valore dell’altro e la solidarietà sono sempre strettamente congiunti. Non esiste solidarietà senza la prospettiva dell’altro. Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa esprime con chiarezza il concetto: «La solidarietà conferisce risalto all’intrinseca socialità della persona umana, all’uguaglianza di tutti in dignità e diritti, al comune cammino degli uomini e dei popoli verso una sempre più convinta unità».

La questione sembra semplice, ma così non è. «Il problema – scrive mons. Vincenzo Paglia nell’opera Il crollo del noi – nasce dall’illusione dell’onnipotenza individuale a motivo dello sganciamento dagli altri, dal rifiuto del ‘noi’, dal concepirsi autonomi da tutti e da tutto, compresi i legami tra le generazioni». La complicazione dipende dall’esaltazione a dismisura dell’Io, il quale tende a percepirsi come valore assoluto.

Poi c’è la tecnologia. L’iperconnessione, la possibilità di collegarsi con molte persone dà l’idea di una moltitudine di relazioni. In realtà, scrive ancora mons. Paglia, «la nostra società tecnologicamente avanzata, con i processi di digitalizzazione ormai diffusi anche nella comunicazione, rischia l’eterogenesi dei fini, ossia, di fatto una sempre più radicale incomunicabilità».

Se pure non mancano filosofi, per esempio Vilém Flusser, che pensano che la connessione sia una dilatazione dell’amore verso il prossimo, in pratica, venendo meno la partecipazione diretta all’universo dell’altro e la vicinanza ad esso, bisogna mettere in conto l’alto rischio di un impoverimento della relazione,

Il risultato è un uomo più solo e, perciò stesso, più vulnerabile. Lo dicono l’aumento delle psicopatologie. Per esempio, l’incremento della depressione o, quella ancor più subdola, dell’hikikomori, ossia la condizione che porta i ragazzi a vivere in maniera isolata ma connessi. In Italia la Fondazione Umberto Veronesi stima in circa 100 mila i casi di hikikomori in giovani tra i 14 e i trent’anni. «Se per un verso è vero che l’uomo del XXI secolo può sentirsi più libero – conferma Paglia – certamente si trova oggi più solo, incurvato sotto il peso di un carico invisibile, e tuttavia pesantissimo».

Senza la presenza dell’altro il valore della solidarietà tende a diventare flebile e addirittura a scomparire. Secondo il giurista Stefano Rodotà, solidarietà è “parola proscritta”. «Di essa – scrive in Solidarietà. Un’utopia necessaria – ci si voleva liberare o se ne cancellava ogni senso positivo, capovolgendola nel suo opposto. Non più tratto che lega benevolmente le persone, ma delitto: delitto, appunto, di solidarietà, quando i comportamenti di accettazione dell’altro, dell’immigrato irregolare ad esempio, vengono considerati illegittimi e si prevedono addirittura sanzioni penali per chi vuol garantirgli diritti fondamentali, come la salute e l’istruzione».

Benché ineludibile il nesso tra solidarietà e valore degli altri, qualcosa non torna. La solidarietà dovrebbe riguardare le persone, i popoli, le relazioni tra gli Stati, il modo di essere della politica e delle istituzioni. Sostiene, infatti, il Compendio della Dottrina sociale: «La solidarietà deve essere colta, innanzitutto, nel suo valore di principio sociale ordinatore delle istituzioni, in base al quale le strutture di peccato che dominano i rapporti tra le persone e i popoli, devono essere superate e trasformate in strutture di solidarietà, mediante la creazione o l’opportuna modifica di leggi, regole del mercato, ordinamenti».

Non è perciò azzardato sostenere che la solidarietà deve essere anche un valore politico. Secondo Rodotà, una delle condizioni in cui la democrazia si riconosce è costituita proprio dalla permanenza non formale del principio di solidarietà. «Non a caso – scrive – la storica qualificazione della solidarietà come sociale è stata nei tempi più recenti affiancata, o addirittura sostituita, dal riferimento alla solidarietà democratica».

Da sociale a democratica la solidarietà ha subito un salto di qualità. Passa, infatti, da una dimensione privata ad una comunitaria e pubblica che ne eleva il rango e la portata.

Difatti papa Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, ricorda che «un individuo può aiutare una persona bisognosa [solidarietà sociale, ndr], ma quando si unisce ad altri per dare vita a processi sociali di fraternità e di giustizia per tutti, entra nel campo della più vasta carità, della carità politica».

In tal caso la solidarietà diventa declinazione della fraternità, quel ‘noi’ che non discrimina, ma include ogni altra realtà. Questo, tuttavia, comporta una maggiore responsabilità.

«L’essere umano – riflette la teologa domenicana Antonietta Potente – deve assimilare anche come vivere con gli altri esseri viventi, anche con coloro che non sono della sua stessa specie. Non deve solo scoprire cosa può mangiare di tutto ciò che lo circonda, cosa può prendere o non prendere, ma come lo può prendere, nel caso che lo possa prendere o, anche come lo possa lasciare lì, senza prenderlo». In altre parole, non c’è alterità senza solidarietà.

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