Quelli del dialogo interreligioso

Dall’epoca degli attacchi contro le chiese cristiane, nel gennaio 2015, funziona il CdirNiger, associazione di cristiani e musulmani che cercano di evitare che il Paese scivoli nel fondamentalismo

Nel quartiere chiamato Trezième nella capitale Niamey, in un’ampia strada sterrata, s’affaccia una palazzina come le altre, che ospita il Cdir, il Comitato di dialogo intra e interreligioso del Niger, un’iniziativa che riunisce cristiani e musulmani in uno sforzo, appunto, di dialogo e mutua comprensione. Incontro lo sceicco Barham Aboubacar Klota, l’imam Alou Hama Maiga e suor Fatouma Marie-Thérèse, che sono i principali animatori del movimento dialogico nigerino. «Lavoriamo in regioni dalla forte presenza islamista – esordisce senza menar il can per l’aia lo sceicco –, in cui il dialogo interreligioso non è naturale. Soprattutto nella zona in cui agisce Boko Haram, è chiaro che chi fa una scelta interreligiosa deve assumersi delle responsabilità di fronte a tutta la comunità. Siamo nati nel 2009 come impegno delle persone di religione per evitare le tensioni, sia all’interno del proprio campo religioso, sia tra le diverse fedi. Oggi abbiamo 119 centri in circa metà dei comuni in cui il Niger è diviso. Per noi, se un cristiano è presidente, il vice-presidente deve automaticamente essere un musulmano, e viceversa».

Dite che l’impegno non è facile, perché? «Perché – prosegue lo sceicco – qui in Niger non tutti capiscono la necessità di dialogare con chi la pensa diversamente da te. C’è l’estremismo wahhabita in particolare che vorrebbe ridurre tutti a un solo pensiero. Perciò siamo impegnati nella sensibilizzazione, come con le trasmissioni radio di Kalabo, un’emittente radio molto importante nel Paese». Come avete vissuto l’esplosione di violenza del gennaio 2015 contro le chiese cristiane? «Non ce l’aspettavamo – mi risponde lo sceicco –, è stata una rivolta improvvisa certamente ben organizzata dagli estremisti. Era la prima volta che succedeva in modo così massiccio in Niger. Siamo rimasti sconvolti, anche noi musulmani tradizionali, perché coi cristiani vivevamo in pace. È stata gente che veniva da fuori che ha sobillato la rivolta, non erano nigerini. Ciò ci ricorda che la pace non è mai acquisita in anticipo, c’è sempre da ricostruirla. Comunque, nei giorni e nel mese seguente agli attacchi, abbiamo condannato e cercato di capire. Non si trattava di un attacco terroristico ma di una collera popolare contro il governo degenerata per la presenza dei sobillatori, di una rivolta fomentata contro i cristiani che non c’entravano nulla con la protesta, ma che sono stati assimilati ai francesi, altro oggetto della protesta».

Ci sono imam fondamentalisti qui da voi? «Il governo aveva sottovalutato la presenza di religiosi inviati da altri Paesi che facevano omelie incendiarie e anticristiane. Sono i dignitari musulmani stessi, quelli dell’Islam tradizionale, che hanno reagito a queste prediche, che sono state vietate in tanti luoghi di culto. La stragrande maggioranza del Paese è pacifica, non vuole incidenti, non ha sentimenti anticristiani. I wahhabiti sono una piccola minoranza, anche se si fanno sentire e hanno la loro influenza sugli strati più deboli della popolazione, cioè sui più poveri. La rivolta era iniziata proprio per il divieto opposto dal governo alla predica di un imam nella Grande Moschea di Niamey, dopo la scintilla pericolosa di Charlie Hebdo e delle caricature contro il Profeta». Interviene suor Fatouma: «A Zender e Niamey ci sono stati i problemi maggiori, ma questo non ha influenzato l’opinione dei notabili dell’Islam tradizionale, che hanno continuato a predicare la pace e la riconciliazione, l’armonia sociale. Anche se forse è mancata nei capi musulmani una reazione più dura e netta contro il terrorismo e le manifestazioni degenerate».

Interviene il secondo imam, il più anziano, che dietro le sue spesse lenti svela una mente da intellettuale, introducendo la questione delle migrazioni: «I nostri concittadini non emigrano molto, se non per lavori stagionali nel Maghreb, il Ghana, il Benin, la Costa d’Avorio. Noi non vogliamo andare in Europa, ma siamo un Paese di transito per tanti africani che invece vogliono raggiungere il Vecchio continente. Non siamo come i maliani o i senegalesi in cui sono le famiglie che spingono una persona, di solito il giovane più dotato, ad emigrare, e gli pagano il viaggio in modo che, una volta fatta fortuna, possa aiutare tutta la famiglia. È un’emigrazione dovuta al fatto che, pur essendo Paesi ricchissimi, le nostre risorse sono sfruttate da altri». Ma torna evidentemente al problema che gli sta più a cuore, il fondamentalismo islamista: «L’Islam tradizionale è per la pace. Sono i wahhabiti che vogliono la guerra: è un vero e proprio virus gravissimo, sostenuto da ingenti fondi che arrivano dall’estero. Lo Stato è neutrale, e automaticamente applaude quando si dice che si parla in nome dell’Islam, ma quella volta senza capire che c’erano strani movimenti nelle moschee. Sono le confraternite sufi che hanno costituito l’Islam tradizionale nigerino, e si sa bene che non hanno mai avuto alcuna sete di violenza».

Riprende suor Fatouma: «Prima del 2015 facevamo degli incontri solo ufficiosi, ci si telefonava per le feste, magari si faceva anche una visita privata. L’Islam tradizionale nigerino non poteva nemmeno immaginare che uno sceicco entrasse in una chiesa cristiana. È la parte cattolica che ha cominciato a proporre un vero dialogo interreligioso. I cattolici prima erano considerati solo come una Ong, poi dopo i fatti del 2015 abbiamo dovuto farci conoscere di più. Ora siamo amici e simpatizziamo reciprocamente: abbiamo capito che non ci conoscevamo e che era necessario farlo per evitare che esplodesse altra violenza. Chiunque partecipa ai nostri incontri auspica che tutta la popolazione possa essere coinvolta in tali incontri. È un dialogo della vita, il nostro, e si lavora insieme per il bene comune».

Riprende l’imam Alou Hama Maiga: «La ricerca della pace è il primo scopo del Cdir: i musulmani spesso non sanno che l’Islam in sé ha una buona dose di tolleranza. La gente cambia lo sguardo quando conosce l’altro. Il vicinato è molto importante per l’Islam, più ancora dell’accoglienza dello straniero. Per questo, forse, il dialogo interreligioso è partito tardi. Certamente non possiamo raggiungere tutti, per questo cominciamo dalle élite del popolo, che poi a cascata potranno facilitare un dialogo interreligioso di base. Poco alla volta bisogna eliminare l’ignoranza, che è il vero nemico della pace. Più che cattiveria reciproca, c’è ignoranza reciproca che va combattuta con l’azione comune. Guadiamo il caso dell’Aids: sono i cristiani che hanno cominciato a chiederci di collaborare, e ora tutti insieme abbiamo capito che il virus non fa distinzioni di religione e che quindi va combattuto insieme».

Suor Fatouma, che fino all’adolescenza era musulmana, sottolinea ancora come l’Islam abbia in sé la tolleranza ma che questa vada valorizzata, senza confondere religione e cultura. Mentre lo sceicco Barham Aboubacar Klota ci tiene a dirmi prima di partire, anzi prima di fare le foto ufficiali di prammatica: «I terroristi combattono il Cdir e hanno addirittura cercato di infiltrarsi nel gruppo per dividerci. Su Facebook hanno pubblicato le mie foto col vescovo cattolico per denunciare il mio presunto tradimento dell’Islam. Per questo andiamo avanti, perché l’ignoranza finisca anche qui in Niger».

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