Debiti, fallimenti e sovranità degli stati

Alberto Barlocci, direttore di Ciudad Nueva ha vissuto e analizzato in prima persona la grave crisi Argentina e la sua sorprendente ripresa
Crisi mercati

La prospettiva di alzarsi la mattina e trovare tutti i bancomat che non funzionano è un volto del default temuto, cioè della bancarotta dello Stato che comincia dal mancato e protratto pagamento degli stipendi. Uno scenario apocalittico che molti analisti non hanno remore a ipotizzare. Non è certo ciò che crea quel clima di fiducia necessario in tempi di crisi, ma è quanto avvenuto in Argentina e che dovrebbe far riflettere. 

 

I mercati finanziari europei hanno un modus operandi molto simile a come operarono in Argentina. Hanno a che fare con veri e propri attacchi speculativi che hanno un determinato fine, la svalutazione della moneta, l’aumento dei tassi di interesse, ecc. Si servono di strumenti diversi ma l’obiettivo é sempre quello di imporre il proprio interesse e una buona dose di utili realizzati senza sforzo e senza creazione di ricchezza, perché, come nel poker, l’economia finanziaria non la crea ma la trasferisce da alcune mani ad altre. Anni or sono, George Soros volle dare una "lezione" alla Banca d’Inghilterra che si vantava di non essere mai stata obbligata a svalutare. L’attacco speculativo si rivelò così efficace che Soros chiuse l’operazione con un miliardo di dollari di utili. Una conferma della necessità di tassare l’attività finanziaria, in particolare quella speculativa che non può continuare ad agire così impunemente. Così quello che ha fatto in Grecia la Goldman Sachs meriterebbe una sanzione esemplare. 

 

Nel 2000 l’Argentina era in condizioni simili ma anche diverse dall’Italia o dai paesi europei. L’anno prossimo il nostro Paese dovrà pagare scadenze di titoli per 400 miliardi, più del doppio dell’intero debito sovrano argentino nel 2001, che ammontava a circa180 miliardi di dollari (140 miliardi di euro), ed era circa il 120 per cento del Pil. L’entità del debito era dunque diversa da quella italiana attuale, anche perché i bond argentini erano in mano sopratutto a privati e quindi con scarse possibilità di un tracollo con effetto domino sulle altre economie. I titoli italiani sono,invece, in mano anche ad altri Stati e il loro cedimento trascinerebbe con sé l’intera area dell’euro. Una differenza sostanziale. Tra il 2000 ed il 2001 tutti i giorni sui giornali i titoli di testa erano dedicati alla “tassa di rischio Paese” che, come oggi lo spread, saliva sempre di più. Era l’indice del costo del denaro in un Paese come l’Argentina costretta ad indebitarsi per coprire il disavanzo di bilancio.

 

In quel periodo il Paese non riusciva più a pagare annualmente le scadenze del debito e gli interessi. Continuava a indebitarsi per pagare i suoi debiti. Ovviamente qualcuno traeva profitto da quell’attacco. Le ricerche effettuate successivamente stabilirono due cose: si arrivò a pagare il 13 per cento di interessi. Durante tutto il 2000 le banche sbolognarono bond argentini ai piccoli risparmiatori. Un comportamento assai scorretto dato che la Consob aveva stabilito si trattasse di titoli ad "alta complessità", riservati cioè ad un mercato di specialisti. Tanto é vero che vari tribunali italiani, sulla base di queste informazioni hanno condannato le banche a restituire ai risparmiatori i soldi investiti in bond argentini. Queste, infatti, non potevano non sapere i rischi ai quali si esponeva l’investitore. Il che ci dice che esiste sempre un meccanismo voluto in questi mercati dove qualcuno si arricchisce rapidamente e molto. 

 

In tutto ciò va riconsiderato il ruolo dell’Fmi e della Bmi. Più che orbitare attorno agli Stati Uniti i due organismi devono tornare a gravitare attorno all’Onu.  Durante le decadi ‘70, 80 e 90 – adottarono una visione neoliberista come l’unica praticabile in economia. Pertanto il FMI insisteva in modo quasi ottuso nella applicazione di parametri macroeconomici uguali in tutto il mondo ed in tutte le economie con risultati catastrofici. Un "misto di cattiva economia ed ideologia", come ha detto Joseph Stiglitz, premio nobel per l’economia.

 

«Le ricette venivano applicate in maniera inesorabile finendo per produrre fallimenti a catena. Non vuol dire la stessa cosa privatizzare il servizio sanitario in Europa o in Africa e America latina. Ridurre la presenza dello Stato dove esistono enormi squilibri tra gli attori economici (multinazionali e piccole imprese locali) significa concedere vantaggi enormi ai forti e condannare a morte gli altri. Fare leva solo sulla riduzione del disavanzo fiscale in caso di crisi, ha come risultato la recessione, specie in economie deboli e con un imprenditoria poca dinamica. Ed appariva chiaro chi beneficiava di queste ricette, dalle privatizzazioni su grande scala all’apertura incondizionata dei mercati con svantaggi evidenti per i produttori di materie prime. Eppure abbiamo assistito al manifestarsi imperterrito di una sorta di darwinismo sociale nel quale fatalmente i più deboli sono destinati a soccombere davanti ai più forti».

 

Vorrei però aggiungere un fatto. A mio avviso non si possono considerare innocenti le organizzazioni citate davanti ai drammi accaduti nei Paesi poveri durante gli ultimi 40 anni. Esiste una precisa ideologia di dominio alla quale sono funzionali. Sapevano cosa stesse per accadere,non lo ignoravano. Un esempio: durante l’ultima dittatura militare argentina, il FMI mise a disposizione un suo funzionario presso il dicastero economico affinché seguisse l’indebitamento estero del Paese che tra il 76 e l’83 lievitò da quasi 8 a circa 40 miliardi di dollari. Con modalità che la giustizia argentina ha definito grossolane e fraudolenti.

 

Queste scelte hanno fatto sì che l’Argentina cessasse di pagare il debito. Quindi ha riprogrammato i suoi debiti con gli organismi multilaterali (FMI, BMI, Banca Interamericana per lo Sviluppo, ecc.) e rinegoziato il resto dei suoi titoli con il 70 per cento dei suoi creditori. E in questa maniera ha anche ridotto l’entità del debito, con tagli importanti del 60 per cento del loro valore. Le resistenze sono state immense. Ma nella storia recente anche le potenze europee hanno dichiarato di cessare i pagamenti dovuti. Alla fine della seconda guerra mondiale, Stati Uniti e Regno Unito si rifiutarono di onorare i debiti contratti con l’Argentina e non ci furono alternative, tanto che il Paese sudamericano riuscì a recuperare parte dei propri soldi solo acquistando con lo sconto le merci delle due potenze.

 

L’Argentina però non ha potuto imporsi allo stesso modo: é stata esclusa dal mercato finanziario e trattata come un appestato per aver osato tanto. Il Paese aveva in realtà pagato due volte il proprio debito, che era lievitato a tassi astronomici ingiustamente e in modo illecito tra il 1979 e il 1980. In secondo luogo occorreva considerare lo “stato di necessità” che fa parte dei principi generali del diritto. Il Paese doveva far fronte a una situazione esplosiva, non poteva letteralmente togliere il pane di bocca alla gente per alimentare banche e finanzieri. Successivamente, intorno al 2006-2007, stufi delle pressioni permanenti sulla loro economia, Brasile, Argentina, Uruguay ed Ecuador liquidarono i loro debiti con il FMI. L’Argentina, ripresasi dalla crisi, restituì quasi 10 miliardi di dollari e rimandò a casa loro i rappresentanti del FMI. Il Brasile pagò una somma molto superiore. Le previsioni erano catastrofiche. Oggi il debito complessivo dell’Argentina é al di sotto del 50% del PIL, in gran parte è valutato in moneta nazionale ed è contratto con risparmiatori privati e altri soggetti argentini..  

 

Chi ha qualificato come Stato fallito l’Argentina nel 2001 dimenticava cosa fosse l’Italia nel 1946 o nel 1947.  Mi pare che il punto di riferimento in una società in crisi devono essere i più deboli e non i più forti. E in questo senso vanno dati segnali forti. In Argentina si stabili in quel periodo che lo stipendio delle cariche dello Stato si riducesse a circa duemila euro. Un gesto che non risolveva il problema economico di certo, ma era importante per solidarizzare in concreto con la popolazione. Come si può avere fiducia in uno Stato nel quale i ricchi devono scrivere pubblici appelli chiedendo di pagare più tasse? L’economia si costruisce essenzialmente su valori come la fiducia, la speranza, che sono valori relazionali e non quotabili in borsa. Ma come è possibile per risparmiatori, imprenditori, finanziatori, consumatori, credere nel proprio governo se questi protegge e non penalizza chi specula, se consente che l’1 per cento della popolazione (parlo degli USA) possieda il 25 per cento del Pil? In questo momento, quasi ovunque il 10 per cento più ricco possiede la metà circa della ricchezza di ogni Paese… Nel caso argentino é stato importante il realismo: non si poteva non rinegoziare i debiti e le misure nell’applicazione dei tagli. È stato decisivo vedere e sentire gli effetti di uno Stato che interveniva a fianco dei più deboli. Ciò non trasforma certo l’Argentina in un modello di giustizia sociale, é ben lontana da ciò, ma dice che in quel momento critico lo Stato é riuscito da rivendicare la propria sovranità e a difendere la dignità della propria gente».

 

Per approfondire vai su www.ciudadnueva.org.ar e su www.abperiferia.blogspot.com e su Nuova Umanitá n. 167, settembre-ottobre 2006

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