Dalla pazienza nasceranno fiori

Sono stati pazienti. Chiusi in casa per settimane, le ragazze e i ragazzi italiani hanno dato prova di una grandissima maturità. Dovremo fare spazio – tra i banchi – ai loro vissuti, a chi ha perso i nonni o magari anche i genitori, a chi è rimasto ai margini, isolato e stanco, a chi si è visto improvvisamente impoverito, senza reti di protezione economica. La politica li ha fino ad ora dimenticati. Riportiamoli al centro

Sono stati pazienti. Chiusi in casa per settimane, le ragazze e i ragazzi italiani hanno dato prova di una grandissima maturità. Eppure si è parlato poco di loro, non hanno fatto notizia: semplicemente scomparsi nelle loro camerette. Giornate impegnate tra scuola, compiti, sport, lezioni private, corsi di ogni tipo, ritmi e orari scanditi si sono improvvisamente svuotate. Hanno dovuto trascorrere gran parte della loro giornata nel chiuso delle loro case, riducendo le loro relazioni sociali alle cerchie familiari e degli amici più vicini. In ogni caso, fuori dalle scuole. Una riduzione imprevedibile del loro mondo al privato, che è stata di per sé galvanizzante inizialmente, come un’improvvisa vacanza, un sollievo (inutile nasconderlo) a metà del quadrimestre per gli studenti delle superiori. Ma che con il passare dei giorni è diventata un’esperienza profonda e intensa, talvolta dolorosa, talvolta creativa. Dopo i primi giorni, soprattutto nelle regioni del Nord, i ragazzi hanno cominciato a rendersi conto che non si trattava proprio di una vacanza, che il clima intorno era teso, che c’è una grande incertezza e che nervosismo e tensione possono prendere il sopravvento anche in famiglia. «Mamma, proprio adesso che era arrivato il nostro momento». Il mio secondogenito ha 16 anni e mi chiede spesso del nostro futuro. I suoi piccoli progetti di adolescente, le uscite con gli amici, i viaggi per imparare le lingue, i progetti estivi, tutto gli pare improvvisamente messo in forse.
Eppure non l’ho mai visto rassegnato, l’ho visto a tratti triste, annoiato, ma poi subito pronto a imparare a fare una torta, a darsi da fare in casa, a informarsi su mille canali web di quanto sta accadendo. Così i suoi fratelli e i ragazzi che ho intorno, che hanno mantenuto alta la socialità in tutte le sue forme, si sono aiutati nei compiti, hanno organizzato persino momenti di ginnastica e di festa con gli amici. A distanza. Sono stati infinitamente pazienti, disciplinati e, pur essendo meno esposti ai danni del virus, si sono sacrificati per genitori e nonni. Dovremo, come adulti, vigilare sulle ferite che il cambio di scenario può avere sortito in loro, farci carico delle loro mancate aspettative e delle loro paure. Dovremo riorganizzare al meglio una scuola che tenga più conto dei loro talenti e della loro capacità creativa. Dovremo fare spazio – tra i banchi – ai loro vissuti, a chi ha perso i nonni o magari anche i genitori, a chi è rimasto ai margini, isolato e stanco, a chi si è visto improvvisamente impoverito, senza reti di protezione economica.
La politica li ha fino ad ora dimenticati. Riportiamoli al centro, sono loro i destinatari primi di ogni progetto per il futuro: ripartiamo dai ragazzi, dalla scuola, dalle loro domande.

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