Dai, facciamo finta che

Un giorno come tanti in attesa dell’estate, in pieno centro di una sorridente città del nord. Un chiassoso viavai da non accorgerti di ciò che, sommerso, comunque passa. È lì, ti sfiora appena, ma non lo vedi. Occhi che si incrociano, quell’attimo per esser catturati da altri. La mia mente è altrove, in quell’urgente lavoro da ultimare. M’infilo in una panineria. Pasto frugale, non c’è tempo. E poi di nuovo tra i molti che cercano un riparo dall’ennesimo rovescio di pioggia. E subito, come contrasto, un timido sole. Proprio nell’atto di richiudere l’ombrello, d’improvviso gli occhi grandi ed espressivi di una giovane sui vent’anni. Ho fame. Mi compri un panino?, mi dice. Frammenti di tempo, lunghissimi. Proprio ora, penso. Offrire una moneta, volgere lo sguardo, passare oltre? O accettare la sfida? Per chi, per cosa, poi? Agisco d’istinto, indico un bar lì di fronte. No, meglio il McDonald’s più in là, dice lei. E va bene… Prendi quel che vuoi. Panino con hamburger, coca-cola, chips, coscette di pollo, risponde indicando il cartello. Mi avvicino alla cassa per chiudere il conto. E poi… anche i gamberetti. No, i gamberetti no! – esplodo fra me e me -. Mi costi più del mio pranzo. Saluto la giovane: Buon appetito, scusami, devo andare. Nei suoi occhi un guizzo d’orgoglio e, nello stesso tempo, lo smarrimento come di un abbandono… Perché? – mi dice -. Mi lasci così? Dai, facciamo finta che mi conosci. Una stilettata. Era come se mi implorasse: Accompagnami fino al tavolo. Guardami, parlami, sorridimi. Voglio che la gente veda che non sono sola. Vince comunque la fretta, ed esco sulla via, confuso. Qualche centinaia di passi e nella mente il ricordo di un grande maestro di psichiatria, Victor Emil Frankl, scomparso alcuni anni fa, e della sua tragica-sublime esperienza nei campi di concentramento nazisti, dove sofferenza e morte s’incrociavano col senso più alto della vita, del dono e dell’amore. E quella sua particolare esperienza quando, affamato, ricevette un pezzo di pane da un noninternato, da un tedesco che lì lavorava: Ricordo bene… quando il capo-operaio mi diede di soppiatto quel pezzo di pane – e sapevo che l’aveva risparmiato dalla sua razione quotidiana; ricordo bene che questo pezzo di pane non era qualcosa di materiale; quell’uomo – e mi commossi letteralmente fino alle lacrime – mi dava qualcosa di umano, una parola umana, uno sguardo umano accompagnava il suo gesto. Come l’insegnamento di Gesù: Ero affamato, ero carcerato, ero ignudo…. Una nuova stilettata, ora forte e dolcissima. Ritorno sui miei passi. Sono venuto a prendere il caffè con te. Dai, facciamo finta che mi conosci , risponde sorridendo. C’è ora una realtà nuova, senza più finzioni, né maschere dietro cui nascondersi. C’è semplicemente la vita, quella vera.

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