Dai catanesi centinaia di arancini per i migranti

Catania, città accogliente, offre un simbolo di amicizia ai migranti ancora bloccati sulla nave Diciotti. A portarlo, un migliaio di cittadini, scesi al porto su invito di Silvio Laviano, Nellina Laganà e Giusy Marraro. Finora sono sbarcati solo i minori.

Quando vedi un arancino pensi a Catania, simbolo culinario per eccellenza di questa città del Sud. Un “cibo identitario”. di un’identità forte, intrisa di orgoglio e sicilianità. Da ieri l’arancino è qualcosa in più: è simbolo di una città accogliente, di una città che vuole “lanciare” un ponte ideale verso chi è costretto a rimanere su una nave. La Diciotti, ancorata, al largo, senza poter sbarcare.

Nasce tutto quasi per caso. Dall’iniziativa di alcuni attori. Silvio Laviano lancia con un post l’idea su Facebook: vuole portare un arancino a ciascuno dei migranti. Nellina Laganà e Giusy Marraro lo rilanciano, nasce un evento e, come per incanto, si ha il coinvolgimento di tanti. Il passaparola circola attraverso i social, ma incontra i cuori. I cuori della gente. Nella serata del 22 agosto sono in tanti al porto di Catania: mille, forse più. Hanno tutti un arancino in mano. Buono, succulento, “accogliente”. E lanciano l’hashtag #CataniaAccoglie.

arancini-per-gli-immigrati-a-catania-foto-di-nellina-lagana«Portate 177 arancini ai migranti della nave Diciotti. Per dimostrare in modo pacifico che Catania è una città accogliente e i catanesi un popolo libero, aperto e disposto alla cultura del dialogo». Era questo il messaggio di Silvio Laviano che aveva mobilitato i cuori e le coscienze.

«L’arancino è un simbolo – spiega Nellina Laganà – un cibo identitario, ma anche un confine aperto. In Sicilia, quando si accoglie a casa una persona, lo si fa con il cibo. Con l’arancino, noi vorremmo dire ai nostri amici su quella nave il nostro desiderio di accoglierli, come persone e come amici, al di là di queste barriere. Questa notte, per noi, è stata un’esperienza durissima: vedere da lontano quella nave, è stata una cosa straziante. Le altre navi erano illuminate, la Diciotti no, c’era solo una lucetta flebile. E a bordo c’erano 117 persone: un’esperienza straziante».

Tutto è nato per caso, nulla di organizzato. «È accaduto tutto quasi per caso – aggiunge Nellina Laganà –, io sono stupita a pensare come da un post di due persone semplici (Silvio ed io siamo due attori) sia nata una simile mobilitazione. Sono veramente orgogliosa, più che se avessi vinto un Oscar! Non credevo potesse accadere una cosa simile! Al porto c’erano tante associazioni, ma anche tanti singoli cittadini. Io credo che ciascuno di noi sia una persona accogliente: ciascun uomo, posto di fronte ad un altro uomo, lo accoglierebbe e lo aiuterebbe. Ma quando si innesca un clima da stadio, le cose cambiano!»

«Non pensavo potesse nascere questa mobilitazione – aggiunge Silvio Laviano –. Sapevamo che non sarebbe stato possibile condividere un “arancino” con i migranti, ma volevamo ribadire, attraverso un simbolo catanese, l’accoglienza di una parte della comunità cittadina con lo scopo di comunicare pubblicamente e civilmente il desiderio di un “porto aperto” a Catania. Molti si chiederanno perché un arancino? Perché è simbolo di amicizia, di condivisione, di cibo da “viaggio”. Volevamo aprire la nostra città  all’”altro”. «Benvenuto a Catania! Veni… ca ti offru ‘arancinu».

Tra coloro che hanno aderito c’è Andrea Maccarrone. È originario di Catania, ma vive a Roma. «Ho accolto anch’io quest’invito e sono venuto. Qui sono presenti in tanti: c’è la rete antirazzista, Amnesty, collettivi studenteschi, gli Scouts, Lila, Arcigay e molti altri. Ci sono gruppi politici, i radicali, Potere al popolo, ci sono alcuni sindacalisti. Finita la manifestazione dell’arancino, resta un presidio permanente, che testimonia il variegato mondo della città, nelle sue diverse identità culturali. Il messaggio è univoco: “I diritti umani sono di tutti, inalienabili. L’articolo 13 della Costituzione dice chiaramente che “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà”. Solo l’autorità giudiziaria, per motivi precisi, può farlo. Non lo può fare nessun cittadino, non lo può fare nessun governo. I diritti umani non possono essere gettati in un cestino della spazzatura per volontà di un ministro. Queste persone devono poter scendere: quale sarà il loro percorso dopo, non sta a noi decidere, ma non possono rimanere confinati su quella nave».

catanesi-accolgono-i-migranti-della-nave-diciotti-foto-di-nellina-laganaDiritti umani, norme e cultura si intersecano nelle parole di un giovane che non vive più in Sicilia, ma che non ha mai smesso di “vivere la Sicilia”. «Catania – aggiunge Maccarrone – è una città del Sud, piena di contraddizioni, con tanti problemi. Questa città, tutta la Sicilia, sono frutto di incontri tra popoli che durano da millenni: gli arabi, i normanni, gli spagnoli, i francesi. Anche l’impero romano trasse la sua forza dall’alleanza di tanti popoli, popoli dapprima conquistati, poi inseriti nell’Impero a pieno titolo, con la cittadinanza onoraria concessa da Caracalla. Tutta la cultura latina vive dell’eredità di altri popoli: i romani ebbero l’arco degli Etruschi, la filosofia dei Greci, le religioni monoteistiche arrivarono dal vicino Oriente. L’incontro tra popoli crea ricchezza: è così anche oggi».

Alfonso Distefano è, invece, membro della Rete Antirazzista. «Siamo qui da tre giorni. Siamo rappresentanti di gruppi diversi. Chiediamo che su quella nave si finisca di soffrire. La nostra iniziativa si è incrociata con quella dell’arancino: in modi diversi, tutti vogliamo dire il nostro desiderio di continuare ad essere città aperta ed accogliente. E di continuare a raccontarlo al mondo!».

Nella notte, 29 minori stranieri non accompagnati sono stati sbarcati. Un primo passo. Sullo sfondo di polemiche che attraversano la stessa maggioranza. La storia continua.

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