Per una cultura della misericordia

Col tempo la misericordia si è progressivamente allontanata dalle sue radici, per ridursi a un atteggiamento di compassione, di benevolenza vagamente religiosa. Invece, se ci atteniamo al significato originario, scopriamo che ha una valenza antropologica che va molto al di là della pietà religiosa.

Come si sa, lo scorso novembre papa Francesco ha celebrato solennemente in piazza San Pietro la chiusura dell’Anno della misericordia. Non c’è dubbio che l’anno passato abbia fruttato un risveglio della coscienza dei cristiani, e non solo, attorno a questa virtù decisiva per la convivenza tra gli esseri umani. Non sapremo mai quanti gesti di misericordia hanno costellato di luce questo nostro pianeta, troppo spesso oscurato dal virus dell’indifferenza e dal morso della violenza (istituzionalizzata, militare, sociale o domestica). Per non menzionare le innumerevoli iniziative – seminari, tavole rotonde, cicli di conferenze, libri – che hanno avuto la misericordia come soggetto o tema centrale. Tutto questo è importante, in modo particolare ciò che riguarda la vita: conflitti risolti, riconciliazioni, incontri considerati impossibili…

Ma il papa, nella sua lettera apostolica Misericordia et misera, afferma che il vero tempo della misericordia comincia “il giorno dopo”, quando lasciamo le celebrazioni per entrare nella quotidianità. La sfida acquista allora una decisiva dimensione culturale.

Quest’anno appena trascorso, infatti, dovrebbe averci dato la spinta decisiva a lavorare per costruire la cultura della misericordia.

Questa parola, per noi occidentali, proviene dall’ebraico héséd. La traduzione della Bibbia dall’ebraico al greco, fatta ad Alessandria d’Egitto dai Settanta, rende héséd con élèos, termine entrato tale e quale nel linguaggio del Nuovo Testamento per designare la misericordia, e che in seguito fece fortuna nel mondo cristiano medievale latino fino ai giorni nostri. In questo percorso, ha conservato buona parte del nucleo semantico che aveva in origine. Héséd e poi élèos e quindi misericordia, potrebbero tradursi semplicemente con amore, designando l’atteggiamento che caratterizza l’agire di Dio nella sua permanente e incrollabile dedizione all’uomo.

In élèos troviamo anche tracce di un’altra parola ebraica, rahamin: viscere, il plurale di seno materno. Élèos significa, quindi, un amore pieno di tenerezza come quello che nutre una madre per il frutto del suo ventre, oppure un padre per un figlio o che si verifica tra fratelli di sangue. In definitiva, la misericordia nel linguaggio biblico, vetero e neotestamentario, coincide con lo stesso essere di Dio (Cf. Es 3,14; Es 33,19; Es 34,6; dal Commentario alla parola Misericordia in Taizé, taize.fr/it_article6831.html).

Detto questo, dobbiamo però riconoscere che qualcosa si è perso nel passaggio da héséd a élèos: sed è l’afflato della reciprocità. Recenti studi ebraici hanno messo in rilievo come la héséd biblica sia profondamente relazionale e riguardi sia il rapporto di Dio con gli uomini che degli uomini tra di loro.

Tali studi affermano che forse il termine che meno tradisce il suo vero significato sarebbe “fedeltà”. Come dicevo prima, non è che il termine élèos sia privo di reciprocità, ma questa non è così centrale come in héséd.

Il risultato è che col tempo la misericordia si è progressivamente allontanata dalle sue radici, per ridursi a un atteggiamento di compassione, di benevolenza vagamente religiosa. Invece, se ci atteniamo al significato originario, scopriamo che ha una valenza antropologica che va molto al di là della pietà religiosa.

Misericordia, in questo senso, potrebbe essere una virtù sociale che genera una cultura umanizzante e personalizzante. Misericordioso è quindi colui che si sente fratello dell’altro, chiunque egli sia; che sa soffrire con chi soffre; che è fedele e leale; che sa condividere con gli altri la loro sorte; che lotta per un mondo più giusto; che non sopporta la disuguaglianza; che si ribella contro la povertà estrema e la cultura dello scarto; che perdona perché sa quanto lui stesso ha bisogno di perdono; che non conosce nemici; che non cova rancore né odio; che non dispera di nessuno. Se c’è chi afferma che la misericordia è la cosa più divina di Dio, potremmo dire che, allo stesso modo, è la cosa più umana dell’uomo. Solo una cultura della misericordia è veramente umana.

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