Cos’è la verità?

Arte
Vi è una verità, da me definita fenomenologica, veicolata dal linguaggio ed espressione di ciò che appare, e una verità metafisica, che è la scoperta dell’essere. Ora, qual è la verità del filosofo? La verità del filosofo è la percezione che egli ha dell’essere che si esprime e che progressivamente va cogliendo. E questa è la verità fondamentale che sostiene tutte le altre verità. Indubbiamente, anche quando affermiamo, ad esempio, questo oggetto è bianco, noi esprimiamo una verità, ma non la verità nel senso di scoperta dell’essere, né una acquisizione della verità come essere. Esprimiamo piuttosto una verità di tipo formale, consistente nella constatazione esteriore di un modo d’essere dell’oggetto. Perché la verità presenta accezioni così diverse? Il fatto è che noi viviamo, personalmente e in quanto comunità di uomini, una duplice vita: una di ordine fisico e psicologico che ci accomuna, con l’esclusione del linguaggio, al resto del mondo animale – una vita, quindi, che, per quanto animata dall’intelletto, non è la vera vita umana nel suo senso più profondo -, e una vita spirituale. È a questa vita spirituale che appartiene la verità dell’essere. Essa, quindi, è verità che viviamo, e la viviamo essendo uniti a Dio. L’unione con Dio è infatti presenza di Dio nell’anima, che ci arricchisce di essere. In realtà, questa verità è in sé oscura, non fatta di parole né di concetti. Essendo però percezione dell’essere, è vera, profonda, di valore superiore a qualsiasi altra conoscenza di verità appresa sui libri: è vita della verità conosciuta sul piano dello spirito, che riesce, appunto, a percepire l’essere al di là dell’utilizzo delle facoltà sensibili. Dunque, quando affermo che i filosofi mi trasmettono la verità, intendo dire che me ne comunicano quei brani da loro scoperti e che, penetrando in me anche attraverso i sensi, si depositano nel mio spirito. Ora, noi, generalmente, pur vivendo una vita spirituale, non abbiamo un’autocoscienza chiara del nostro essere spirito. Per poterla raggiungere occorrerebbe purificare profondamente la nostra sensibilità e la conoscenza ad essa legata, sì da guadagnare, anche solo per un istante, una conoscenza in tutta purezza spirituale. E ciò implicherebbe un approfondimento non solo del conoscere in quanto tale, ma anche dell’amore, della vita in un senso più pieno. Da qui la difficoltà a raggiungerla. Non così è per i mistici, tra i quali è possibile annoverare senz’altro anche alcuni filosofi. Essi, stando alla presenza di Dio, percepiscono l’essere come spirito, quale partecipazione di lui. A loro è dato perciò di fare un’e- sperienza spirituale che è, al tempo stesso, un’esperienza metafisica. Dunque, poiché difficilmente si perviene alla coscienza del nostro essere spirito, parimenti non si ha la coscienza del nostro entrare nella verità. Possiamo dire infatti che è piuttosto la verità che penetra in noi, al punto tale da apparire connaturale al nostro essere. Lo sperimentiamo nel fatto che, pur nascendo nella ignoranza assoluta di ogni sapere, ritroviamo in noi, come nostro, il patrimonio di verità presente nella realtà umana – familiare, ambientale – in cui siamo inseriti, segno che esso è penetrato quasi insensibilmente in noi. Tanto è vero che se, crescendo, acquisiamo la coscienza della nostra conoscenza sensibile e di quella razionale, non altrettanto avviene riguardo all’autocoscienza della acquisizione della verità che già possediamo. L’altro concetto che vorrei richiamare è il seguente. Chi mi attira alla verità, all’essere, non è semplicemente Dio, ma l’Uomo- Dio: Gesù. Se infatti fosse solo Dio che mi attira come Colui che mi ha amato e creato, non sarei attratto da qualcosa che provoca in me lacerazione e angoscia. In realtà, è questo che io provo: il sentirmi strappato a me stesso; non quindi la pacificante considerazione del mio esserci, ma lo stupore dell’esserci nel mondo. E ciò perché vi è nel mio essere un’esigenza superiore a me stesso, che mi chiama irresistibilmente a trascendermi, ad elevarmi, ma realizzando così il mio essere uomo. In altre parole, sono attirato dall’Uomo- Dio a diventare uomo-Dio. Sono quindi attirato da qualcosa che è me e che, al tempo stesso, è fuori di me e verso cui tendo per essere me. Questo qualcosa, allora, non può essere che Dio, ma un Dio che si è fatto uomo, in funzione del quale il Creatore mi ha pensato fin dall’eternità, dandomi poi la vita affinchè diventassi lui. (

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