Cosa vuol dire “governare” con l’Italicum?

Sul numero 4 della rivista Città Nuova abbiamo approfondito la proposta di riforma della legge elettorale proposta da Matteo Renzi. Vi proponiamo una delle riflessioni a cura di Alberto Lo Presti, docente di Storia delle dottrine politiche alla Pontificia università san Tommaso d'Aquino e all'Istituto universitario Sophia
Il segretario del Pd Matteo Renzi e sullo sfondo l'immagine di Silvio Berlusconi

L’Italicum assicura la governabilità? Calma, senza fretta. La governabilità è la capacità di legiferare, intervenire, provvedere, incalzare, bocciare, sostenere… In altre parole, fa riferimento a un governo efficiente, e questo non è sempre riconducibile al rapporto di forza fra maggioranza e opposizione. Ne abbiamo avuto una chiara dimostrazione nelle passate compagini governative. L’esecutivo Monti era precario, instabile, ma ha tanto governato, invertendo con ciò il rapporto con l’esecutivo precedente, guidato da Berlusconi, stabile ma poco efficiente, incapace di fronteggiare la crisi, inerme rispetto al collasso.

Il rapporto tra governabilità e stabilità non è automatico. Ora, la nostra recente storia parlamentare ha mostrato quali sono i fattori che minacciano la governabilità. Un governo ha le redini imbrigliate quando per partorire qualcosa deve fare i conti con mille sensibilità e preoccupazioni al proprio interno. La governabilità è compromessa dalle compagini tenute in ostaggio da quelle forze che furono decisive per la vittoria, anche se esigue nella composizione, e che rischiano di mandare tutto a gambe all’aria se non passa la loro linea deferente a un elettorato minoritario (e magari agguerrito). Vi ricordate Prodi e Rifondazione comunista? La Lega e le sedi distaccate dei ministeri a Monza? O il federalismo fiscale che produsse il suo contrario e non riuscì ad arginare l’emorragia dei conti pubblici?

Se abbiamo imparato la lezione, una buona legge elettorale dovrebbe impedire queste strane alchimie parlamentari. In parte l’Italicum vi riesce, anche se con formule singolari. Il suo meccanismo, infatti, dovrebbe sospingere le forze politiche alla coalizione, dovrebbe impedire l’eccessivo frazionamento dei partiti politici, dovrebbe assegnare una discreta maggioranza anche nel caso l’esito elettorale non sia ampiamente vittorioso.

Sorvolando sul fatto che si arriva a tali vantaggi attraverso delle opzioni che dovranno essere valutate dal punto di vista della tenuta costituzionale, rimane il fatto che ci troviamo di fronte ad alcuni interrogativi. Il primo è sotto gli occhi di tutti, reso evidente dal prevedibile e uggioso ritorno di Casini a destra. Facile da immaginare: per arrivare ad accaparrarsi il premio di maggioranza, si possono mettere insieme partiti che a fatica si tollerano. Questo può, ancora una volta, inchiodare il Paese in una stabilità mortifera. L’altro riguarda un passaggio ancora mancante nel panorama delle riforme: il destino del Senato. Sia chiaro, infatti, che col bicameralismo perfetto ancora in piedi, il problema della governabilità rischia di rimanere sospeso nel vuoto istituzionale di riforme che, invece di essere organiche e riguardare un’idea di Stato, sono estemporanee e provvisorie. Attenzione, qui: tanti segnali mostrano come la provvisorietà ha stufato molti. Il pericolo, in questi casi, è che il primo “testone” che usa qualche tono perentorio attrae un consenso pericoloso. Speriamo di no.
 

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