Coronavirus e sfruttamento sui campi

L’emergenza della pandemia da Covid-19 nelle retrovie dei centri abitati, dove esiste un’umanità dimenticata e sfruttata. Necessari interventi urgenti.  
Ghetto Taurianova foto Flai Cgil

Il coronavirus c’è. Minaccioso e spaventoso. Eppure, negli “ammassi di solitudine collettiva”, nulla è cambiato. Parliamo degli insediamenti informali rurali dei braccianti migranti, di ghetti disseminati nella nostra geografia agro-pastorale.

A Borgo Mezzanone nel foggiano, nella Contrada Russo a Taurianova, in Calabria, così come nelle retrovie di San Ferdinando, nella Piana di Gioia Tauro. La vita quotidiana dei migranti è scandita dai ritmi di sempre: lunghe giornate di lavoro nei campi, paghe misere, prepotenza dei caporali, più che mai sovrani in questi tempi dello smart working degli Ispettorati nostrani.

Sono i “caporali” ad assurgere, adesso più che mai, il ruolo di veri demiurghi del lavoro. Al loro cospetto ci si prostra per sperare di assicurarsi un’occupazione alla giornata: “Non c’è alcuna forma di collocamento al di fuori di me” sembrano strombazzare all’alba mentre caricano gli schiavi nei mezzi sgangherati con i quali li portano nei campi, stipandoli all’inverosimile.

In altri luoghi come Castel Volturno, Mondragone, Terracina o Brindisi, il viavai mattutino e serale di bici arrugginite, sulle quali sono issati uomini emaciati, è il metro di misura della condizione di questa umanità dimenticata e abbandonata, ai tempi del coronavirus. La storia fa passi indietro. Abbiamo i nuovi “patrizi” che devono poter mangiare, avere sempre la disponibilità di prodotti freschi nei reparti frutta e verdura dei grandi esercizi commerciali di generi alimentari. E ci sono gl’invisibili, i “plebei”, che devono lavorare, come sempre, zitti e ubbidienti. Poco importa se corrono il rischio di beccarsi il virus. Per poi portarlo negli accampamenti che rischiano di diventare nuovi focolai. E potenziali lazzaretti.

Qui, i dispositivi di protezione individuale -mascherine e guanti – sono una chimera. Per loro non hanno importanza. Proprio se insistono, allora il loro costo, debitamente fatto lievitare all’inverosimile, è da decurtare dalla misera paga a fine giornata: cinque euro la mascherina, recuperata chissà dove e sommariamente riciclata.

Sommati a cinque euro per il trasporto. Al crepuscolo, dopo una lunga giornata di fatica e sudore, in tasca rimangono più o meno 10 euro. Per 10-12 ore di lavoro.

Al rientro, altri nodi si pongono in tutta la loro drammatica insolubilità. Lavarsi le mani? Difficile. Non c’è l’acqua corrente nei ghetti. L’obbligo del confinamento in casa? Parliamo di pura fantasia per chi vivacchia alla giornata, in una delle tante stamberghe in queste vaste distese di catapecchie, le une peggio delle altre.

Di quanta gente parliamo? Il Governo, a fine 2019 ipotizzava un totale di 130 mila persone, mentre per l’Osservatorio Placido Rizzotto il numero oscilla tra 160 e 180 mila migranti che vivono in questa condizione di perenne disperazione.

La differenza numerica si spiega con l’applicazione del Decreto sicurezza, targato Salvini, che ha consegnato di fatto ai caporali e agli sfruttatori decine di migliaia di nuovi schiavi perché privi di ogni protezione umanitaria e quindi ricacciati nella clandestinità che sfugge alle statistiche.

Per uscire dal tunnel delle ingiustizie, la via maestra è quella di regolarizzarli, per affermare le ragioni della dignità lavorativa in un settore dove è sedimentata da troppo tempo la violazione delle conquiste contrattuali.  Un intervento più che mai urgente ora che la mancanza di manodopera bracciantile comincia ad avvertirsi forte al Nord, conseguenza della strategia di azzeramento dei flussi in uscita verso altri Paesi europei. Decisione attuata dalla Romania, maggiore provider di manodopera nel settore agricolo italiano.

Lo scenario globale ci mostra l’Italia, l’Europa e il mondo intero obbligati ad adottare misure restrittive collettive, accostabili solo allo stato di assedio e tali da imporre nuovi comportamenti precauzionali, come il distanziamento sociale, il lavarsi vigorosamente le mani e l’imperativo di restare a casa

Lo stato di emergenza da pandemia, d’altra parte, fa venir meno il timore che irregolari di altri Paesi europei convergano tutti in Italia all’annuncio del provvedimento sanante: il Paese è “sigillato” di fatto.

E, assieme alla regolarizzazione, i migranti che si trovano costretti a vivere nei cosiddetti “insediamenti informali” vanno messi in sicurezza dal possibile contagio da coronavirus. Tutelare la salute pubblica, tra l’altro, rientra come da articolo 32 della Costituzione, nell’interesse della collettività.

 Qui il link della petizione per la tutela della salute dei braccianti nei ghetti 

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