Concorsone atto secondo

Le prove scritte entrano nel vivo: il fattore tempo, il “mal di stomaco”, la contraddizione della scuola media riflessa nelle domande, la quotidianità che riprende a fluire appena finito il test. Il bello della vita nelle riflessioni di una giovane aspirante docente
scuola

Ore 7:45 un variegato gruppo di persone mediamente giovani affolla il cancello principale dell’Istituto Grassi di Torino, una delle tante scuole che in questo mese vede la quotidianità movimentata da un simpatico diversivo: il concorso docenti 2016. Prova scritta del giorno: A028 – Matematica e scienze alla scuola media.

 

Siamo lì a gruppetti, molti di noi con i colleghi del corso abilitante frequentato insieme nei mesi scorsi, qualcuno leggendo per l’ultima volta gli appunti, tutti ansiosi che finisca al più presto.

La macchina organizzativa funziona senza intoppi, si aprono puntuali i cancelli, si entra divisi per aula, riconoscimento e consegna dei cellulari, lettura delle istruzioni, codice di sblocco del computer e si comincia.

 

Mi butto subito sulle domande di comprensione del testo in lingua straniera, sono la parte “facile” mi dico, e decido di dedicare a quello il tempo migliore per non rischiare di sbagliarle per stanchezza. Il tempo – fattore non secondario in questo concorso è scandito da un contatore che rimane sempre sullo schermo, 150 minuti, non uno di più né di meno. Non si può perdere neanche un secondo.

 

Comincio a leggere i diversi quesiti, qualcuno mi procura un certo mal di stomaco subitaneo: ci sono alcune domande “cattive” soprattutto di scienze, la tensione superficiale collegata alla chimica ambientale ha sconcertato un po’ tutti quanti, scopro poi leggendo commenti qua e là su internet.

Per fermare l'ansia mi butto a rispondere al primo quesito: il teorema di Pitagora. Un classico di tutti i tempi. E da lì vado avanti con ritmo incalzante, di domanda in domanda, scrivo forsennatamente tutto quello che mi sembra c’entri qualcosa.

 

Sulla matematica sono tranquilla. L'ho studiata per anni, è la mia materia e so cavarmela anche davanti alla domanda sconcertante sulle disequazioni, argomento che ultimamente non si trova neanche compreso nei libri che si adottano alla scuola media. Per le scienze mi arrampico un po’ di più sugli specchi. Ma del resto questa è la grande contraddizione della scuola media, una classe concorsuale di matematica e scienze che non corrisponde ad una preparazione adeguata a livello universitario in tutte le discipline, dato che si può accedere con una qualunque delle principali lauree in discipline scientifiche.

 

Prima ancora che mi accorga il timer diventa rosso, mancano 30 minuti. Mi fermo e comincio a rileggere tutto. Poi mi dedico a quelle domande che mi hanno messo in crisi – e con me erano in crisi tanti altri ho scoperto –  e cerco di aggiungere particolari pescando in tutto quello che so.

L'ultimo secondo “conferma e procedi” su tutte le domande, per essere sicura che sia tutto salvato…. e 10, 9, 8, ….., 3, 2, 1. “La prova è terminata”.

 

Un lungo respiro. E tanti commenti liberatori con i compagni di aula, perfetti sconosciuti resi all'improvviso vicinissimi dall'esperienza comune appena vissuta. Fin qui cronaca.Sulla strada del ritorno dalla scuola verso la fermata dell'autobus, uno strano sorriso mi si stampa in volto e una calma surreale mi avvolge.

 

È forse il resto della vita che riprende a fluire, ma è anche la gioia di un bilancio positivo che si fa strada nel mio cuore. No, non pensate ad un bilancio positivo sulle risposte a quelle otto domande. Ripercorro in quel momento altri particolari della mattinata che sono stati il regalo di questo concorso. Lo sguardo assonnato di un membro della mia famiglia che sul corridoio alle 6 del mattino mi sorride con tutta l'entusiasmo che si può avere a quell'ora e mi incoraggia, i cartelli che trovo uscendo dal portone con l'immancabile “in bocca al lupo” scritti da alcune amiche e lasciati lì nella notte, gli innumerevoli messaggi anche dalle persone più improbabili con incoraggiamenti di ogni genere.

 

L’augurio di un’amica con le parole di don Tonino Bello su Maria, che mi allargano il punto di vista da cui guardare quei 150 minuti: «Dunque, tu non ti sei rassegnata a subire l'esistenza. Hai combattuto. Hai affrontato gli ostacoli a viso aperto. Hai reagito di fronte alle difficoltà personali e ti sei ribellata dinanzi alle ingiustizie sociali del tuo tempo» (Tonino Bello, Maria donna dei nostri giorni, Ed. San Paolo).

 

Sono questi piccoli pensieri di tanti, che mi hanno accompagnato anche nei giorni dello studio un po' schizofrenico in mezzo alle mille altre cose della vita, che hanno fatto di quei 150 minuti un capolavoro.

 

Questo credo è il bello della vita, avere delle occasioni in cui una grossa sfida ti fa rendere conto in un attimo della meraviglia di essere parte di un noi che ti incoraggia, ti sostiene, ti accompagna e ti accorgi che l’importante non sono i risultati, il successo della vita non è racchiuso in un gol fatto costi quello che costi, ma è in nei sorrisi regalati, nel tempo “perso” per gli altri, nell’evangelico miglio in più fatto anche senza richiesta, nei rapporti costruiti che hanno il potere di rendere speciale anche una qualunque banale, burocratica, e anche un po’ ingiusta, procedura concorsuale.

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