Con tutto il cuore padre Spidlik

A colloquio col gesuita di origine morava, ponte tra la spiritualità d'Oriente e d'Occidente.
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Anche se ha ricevuto il cappello cardinalizio, per gli innumerevoli amici ed estimatori sparsi nel mondo è sempre, familiarmente, padre Spidlik. Teologo di fama internazionale che ha contribuito più di altri a divulgare da noi i tesori di spiritualità dell’Oriente cristiano, si muove a suo agio, come in famiglia, fra i grandi del passato come pure dell’epoca moderna: Padri della chiesa, autori spirituali come Teofane il Recluso, scrittori come Dostoevskij, teologi e filosofi come Berdjaev, Florenskij, Ivanov… Allo stesso modo questo gesuita moravo ultraottantenne, dotato di eccezionale comunicativa, sa arrivare al cuore della gente comune con la sapienza e l’autorità di uno starets (padre spirituale) russo.

Si direbbe, la sua missione, sotto il segno di Metodio e Cirillo, i santi fratelli evangelizzatori della Moravia e compatroni d’Europa: non a caso, dopo il noviziato presso il famoso monastero di Velehrad, dove si venerano le spoglie del primo, tranne un periodo in Olanda ha vissuto sempre in questa Roma che custodisce la tomba del secondo.

Incontro padre Spidlik al Centro Aletti, punto d’incontro per intellettuali e artisti dell’Est e dell’Ovest voluto da Giovanni Paolo II quale contributo ad una Europa che respiri “con due polmoni“. Una personalità come la sua richiederebbe ben più che un’intervista. Ma è anche vero che basta sfiorare un tasto solo di un pianoforte per saggiare la sonorità dello strumento.

 

Dalla Moravia all’Olanda, e infine a Roma, divenuta sua seconda patria. E tutto per circostanze che si direbbero provvidenziali…

«Ho incontrato amici e colleghi che amavano fare programmi per il futuro. Sembravano pieni di entusiasmo quando li facevano, e delusi dalla loro realizzazione. Io non facevo progetti, piuttosto “sognavo” a occhi aperti cose irrealizzabili e mi stupivo in seguito quando si verificavano. Ciò che la Provvidenza ci regala è sempre un dono, ma il vero regalo è, seppure in modo confuso, aspettato. Io non penso che sia male “sognare” le bellezze del futuro; il grande errore sarebbe credere di poterle “progettare”. L’unico vero progetto per la nostra vita lo fa Dio stesso, dando ad ognuno una vocazione precisa. Essa si rivela progressivamente mediante inspiegabili segni esterni, ma con altrettanto inspiegabili segni interni viene in qualche modo presentita. Non è proprio questo che fa la vita felice: scoprire che i propri sogni possono essere “profetici”, che gli angeli del cielo salgono e scendono sulla terra (cf Gen 28)?».

 

Quale sarebbe l’apporto della spiritualità slava per il futuro stesso del cristianesimo europeo?

«Un proverbio ceco dice che ogni uccello loda le sue penne. Io, per difendere il mio lavoro, uso diversi argomenti tra cui uno preso da Solov’ëv: nella cristianizzazione dell’Europa, gli slavi sono stati battezzati da ultimi. Dovranno quindi dire l’ultima parola alla cultura europea. Ed io mi sono convinto che si tratta del personalismo cristologico, che ho cercato di sviluppare nel libro L’idea russa. Ma perché indicare questo contributo come l’“ultima parola”? Sembra giustificarlo la situazione contemporanea. Sulla scena del mondo si affacciano nuovi popoli e i fedeli cristiani aumentano fra di loro. La situazione è simile a quella della fine dell’antichità. I nuovi cristiani si chiedevano cosa accogliere dai precedenti. Oggi la stessa domanda si manifesta nella forma seguente: “che cosa deve restare valido per noi della tradizione europea?”. Per dare una risposta adeguata, bisogna saper afferrare il respiro di entrambi i polmoni europei. Infatti sono complementari. Se quello occidentale ha sviluppato la cultura della ragione, oggi si sente il bisogno che questa ragione trovi il suo posto naturale nel cuore, che è al centro della spiritualità slava».

 

“Ex toto corde“, con tutto il cuore, è il motto del suo stemma cardinalizio. È di cuore dunque che ha bisogno soprattutto il mondo odierno?

«La cultura occidentale, dicevo, è divenuta prevalentemente intellettuale. Anche la preghiera è definita, secondo una eredità platonica, come “elevazione della mente a Dio”. Ma già Meister Eckhart notava che se con l’intelletto si raggiunge Dio come Intelletto supremo, per raggiungerlo come davvero è, come Dio, dobbiamo rivolgerci a lui con tutto il nostro essere. Il cuore, come lo intendono i classici spirituali dell’Oriente, significa l’unione di tutte le facoltà dell’uomo: a ragione quindi sostengono che la vera preghiera è soltanto quella che parte dal cuore. Purtroppo la psicologia popolare di oggi distingue la ragione, la volontà e il cuore, ed identifica quest’ultimo come l’organo solo del sentimento. In questa supposizione la preghiera del cuore viene mal compresa e identificata con un sentimentalismo».

 

Perché è così importante una sintesi Oriente-Occidente?

«Quando nel secolo IX i santi Cirillo e Metodio giunsero qui a Roma per giustificare la loro missione in Moravia, ricevettero inauditi privilegi pastorali per il loro territorio. Come spiegarlo? A Roma si resero conto che la Moravia avrebbe dovuto avere un ruolo importante. Cresceva il conflitto fra la parte orientale e occidentale del mondo antico. Gli slavi si erano inseriti in mezzo ad entrambe le parti, e sarebbero potuti forse divenire un ponte per l’incontro. Invece il piano è fallito. Il mondo era già così diviso che ha diviso gli stessi slavi in orientali e occidentali. Veniamo ad oggi. Fra l’attuale grande Oriente e il lontano occidente, non è forse tutta l’Europa quello che fu la Moravia in epoche passate? Riuscirà ad essere un ponte d’incontro? Non è questa infatti la sua vocazione storica?».

 

Lei è stato definito “teologo della chiesa indivisa“. In che modo si occupa di ecumenismo?

«Sono in parecchi a chiedermi: “Quando va a visitare il tale o il talaltro paese orientale, come la ricevono gli ortodossi?”. La mia risposta è, di solito, la stessa: Non vado a visitare né gli ortodossi, né i cattolici, ma semplicemente gli amici, dovunque si trovino. Questi mi ricevono benissimo, e con gli altri ho poco a che fare. Il mondo odierno, per unirsi, cerca di formulare i diritti naturali per tutti. Buona fortuna! Ma essi saranno osservati giustamente soltanto fra amici e, sul terreno della chiesa, nella giusta collegialità promossa dal Vaticano II».

 

L’attività accademica e intellettuale non l’ha mai distolta dal contatto diretto con la gente. Se dovesse scegliere fra le due cose?

«Non è nel mio stile scegliere, ma accettare. Nel caso concreto ho vissuto, per così dire, sedendo su due sedie: insegnavo nelle facoltà universitarie e contemporaneamente sono stato per 37 anni padre spirituale nel collegio Nepomuceno. Il che comportava anche varie occupazioni pastorali fra i cechi all’estero. I colleghi professori mi rimproveravano di rubare tempo prezioso alle ricerche scientifiche per dedicarlo a lavori non “miei”. Guardando oramai indietro, non riesco a pentirmi per questo furto. Al contrario, sono convinto che senza il contatto con la vita concreta, il lavoro scientifico può deviare sui terreni di una sterilità mentale».

 

A suo tempo lei ha sofferto molto a causa del regime ateo a Praga. Quale è ora il suo rapporto con la madrepatria?

«Sono sorpreso che mi consideri ancora un suo figlio. Mi ascoltano da più di cinquant’anni ogni settimana alla Radio Vaticana in lingua ceca, leggono i miei libri in ceco, mi invitano più di quanto possa accettare. Ma amo ugualmente l’Italia, perché mi ha dato la possibilità di realizzare ciò che sognavo nella casa natia e che lì ho avviato. Inoltre ho verificato quanto scrisse un letterato tedesco: la patria non sono i campi, ma gli amici. Io ne ho conservati molti in Cechia e acquistati molti di nuovi in Italia, e anche altrove».

 

Ho trovato nei suoi scritti un’ espressione: la “memoria di Dio”: cosa c’entra con la vita quotidiana?

«L’uomo, sostiene san Basilio, non può dedicarsi di continuo alla preghiera esplicita, deve anche lavorare. E quando lavora, la sua mente deve occuparsi di quello che fa. Ma nei devoti succede qualcosa di simile a quanto si verifica in una madre che lavora per il figlio. Quest’ultimo in un certo senso è sempre presente nella sua “memoria”. La norma di tutto quello che fa questa mamma è l’interesse del figlio».

 

L’humor per il quale è noto ha che fare anche con le sue radici ceche?

«Non è la stessa cosa amare gli scherzi ed essere ottimista. Ma chiediamoci: che funzione assume uno scherzo nella vita? Relativizza quanto si presenta come assoluto e intoccabile. È noto quanto la satira politica prolifichi sotto i regimi autoritari. I cechi ne hanno avuti molti, imposti dal di fuori, e gli scherzi sono divenuti una forma di difesa nazionale. Ma ciò può essere segno di pessimismo più che di ottimismo, come mostra il famoso libro Il buon soldato Sc’vèik. Altri scherzi, innocui, relativizzano le preoccupazioni di ogni giorno. In tal caso sono segno dello spirito evangelico ottimistico, che i monaci antichi chiamavano “amerimnia“, la noncuranza che considera la tristezza come uno dei vizi capitali».

 

Sono in molti a considerarla un maestro dell’arte di vivere. In cosa consiste quest’arte?

«Nel credere che io sono una persona umana irripetibile, ma che può realizzare la sua personalità solo nella relazione di amore con altre persone irripetibili. Si impara così, per esperienza, l’arte di trattare gli uomini».

 

 

Tomas Spidlik nasce nel 1919 a Boskovice, in Moravia. Novizio gesuita, a causa dell’occupazione nazista nel 1942 deve trasferirsi a Velehrad. Più volte interrompe gli studi in seguito al lavoro forzato imposto prima dai tedeschi, poi dai rumeni, quindi dai russi. A guerra finita, studi teologici a Maastricht. Ordinato sacerdote, nel 1950 completa la sua formazione a Firenze. L’anno seguente viene chiamato a Roma alla Radio Vaticana. Dal suo impegno presso questa emittente scaturirà una speciale missione per i paesi d’oltrecortina. Per 37 anni è direttore spirituale del Pontificio Collegio Nepomuceno. Nel 1955 inizia la sua attività di docente di teologia spirituale patristica e orientale in varie università, a Roma come all’estero. Dal 1991 vive e lavora al Centro Aletti. Il 21 ottobre 2003 è creato cardinale da Giovanni Paolo II. Innumerevoli le pubblicazioni, come pure i riconoscimenti in campo accademico e internazionale.

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