Collaboratori ed esperti linguistici in sciopero

Gli insegnanti - ma non riconosciuti come tali - di madrelingua delle università italiane incroceranno le braccia il prossimo 30 giugno. Tra le principali richieste, l'ufficializzazione del loro status di docente con un nuovo contratto, l'adeguamento salariale e la ricostruzione di carriera per chi è stato assunto con il vecchio contratto dei lettori di lingua straniera
sciopero
Una passata manifestazione dei lavoratori di scuola e università aderenti alla Flc-Cgil, Roma, 10-12-2021. Foto: Roberto Monaldo / LaPresse.

Si parla spesso dell’importanza, per chi studia lingue straniere – e quindi tutti, dato che ogni tipologia di scuola e di università prevede lo studio almeno dell’inglese – di avere un’insegnante di madrelingua. Eppure nelle università italiane i collaboratori ed esperti linguistici (Cel), come vengono chiamati appunto gli insegnanti madrelingua, paradossalmente non godono dello status di insegnanti: sono infatti considerati personale tecnico amministrativo, nonostante il loro lavoro consista nel preparare e tenere lezioni, preparare e correggere esami, e garantire ore di ricevimento studenti. Una discrepanza che non è solo formale, ma che ha delle conseguenze sotto il profilo salariale e di carriera. Per questo Flc-Cgil e Uil Scuola hanno indetto per venerdì 30 giugno uno sciopero nazionale dei Cel, «per il riconoscimento del profilo professionale dell’insegnante di madrelingua, per risorse aggiuntive per il rinnovo del contratto nazionale dei Cel che hanno una retribuzione assolutamente non commisurata alla professionalità richiesta, per l’applicazione delle sentenze della Corte di giustizia europea con il riconoscimento dell’intera ricostruzione di carriera dei lettori, e per il potenziamento dell’insegnamento delle lingue nelle università italiane».

La questione è complessa, come spiega il dott. John Gilbert, Cel all’Università di Firenze dal 1987 e coordinatore nazionale dei lettori/Cel della Flc-Cgil: «Nel 1995 è stato abrogato il contratto che nel 1980 aveva istituito la figura del lettore madrelingua – racconta –, ma questo non è mai stato sostituito con un altro che definisse giuridicamente una figura analoga: i lettori, ora sotto il nuovo nome di collaboratori ed esperti linguistici, sono stati fatti confluire come personale tecnico amministrativo nel contratto del pubblico impiego che appunto in quell’anno era stato varato». E la cosa, prosegue Gilbert, ha creato problematiche significative: «Innanzitutto per le disparità che si creano tra un ateneo e l’altro: non abbiamo, come altro personale amministrativo, le diverse categorie o trattamenti accessori, ma semplicemente la possibilità che ogni singola università definisca un contratto integrativo di ateneo in aggiunta ai poco meno di 16 mila euro annui per 500 ore previsti da quello nazionale – quindi al di sotto dei compensi che percepisce un docente. Di conseguenza, chi lavora in un’università che applica un contratto integrativo può arrivare in alcuni casi anche a raddoppiare questa cifra, e lavorare per un monte ore diverso; gli altri no». Disparità che si ripercuote anche su previdenza e Tfr, dato che il contratto nazionale e un eventuale integrativo sottostanno a discipline diverse.

A questo si aggiunge il problema mai risolto della ricostruzione di carriera di chi, come Gilbert stesso, è stato originariamente assunto con un contratto diverso da quello attuale: questione su cui si è pronunciata quattro volte la Corte di giustizia europea e su cui sono a più riprese state aperte dalla Commissione Ue procedure di infrazione contro l’Italia, lasciando questi (di fatto) docenti non solo forzatamente transitati ad un contratto meno favorevole, ma anche a dibattersi con le relative questioni previdenziali e burocratiche. «L’Italia non ha mai applicato le sentenze sulla ricostruzione di carriera, secondo cui chi è stato assunto come lettore ha diritto a mantenere le stesse condizioni anche per i periodi successivi al 1995 – sottolinea Gilbert –. Anche il decreto interministeriale pubblicato il 26 giugno su questo tema in realtà non è chiaro, tanto che diversi direttori generali hanno già chiesto un’interpretazione». Il nodo centrale «è quello delle risorse aggiuntive, che nessun governo ha mai messo. Dopo l’ultimo rinnovo di contratto nel 2018 è stata creata una commissione paritetica con tutte le parti interessate, e sembrava ci fosse la volontà politica di risolvere questo problema e quello del nostro riconoscimento come docenti con adeguamento salariale alle nostre qualifiche: purtroppo così non è stato».

Anche quello di avere uno stipendio commisurato alle qualifiche è un problema (ovviamente) sentito: alla domanda su quali siano i titoli richiesti per lavorare come Cel Gilbert evidenzia infatti che «per quanto ogni ateneo ponga i propri requisiti, la competizione è alta e vengono assunti Cel con qualifiche molto elevate: quindi persone che hanno almeno una, e a volte anche più d’una, laurea, master o specializzazione in ambiti come la linguistica e la glottodidattica, con tanto di equivalenza in Italia se conseguite all’estero, e che hanno superato una prova scritta e un colloquio». Una tale disparità tra lo stipendio di un Cel e quello di un docente non troverebbe dunque sotto questo profilo alcuna giustificazione.

Sono quindi molte le questioni che si affastellano, e che i Cel vogliono portare all’attenzione con questo sciopero; con manifestazioni in svariati atenei. «Chiediamo le risorse aggiuntive per affrontare tutti questi problemi – conclude Gilbert – da quello del contratto con relativo adeguamento dello stipendio a quello della ricostruzione di carriera».

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