Clima: l’inarrestabile semplicità del comma c

Le novità e il vero punto di svolta nel documento finale del summit di Parigi sui cambiamenti climatici appena concluso. Gli interventi degli economisti mostrano un vero e proprio cambio di mentalità nei confronti dei combustibili fossili
Cop21

Una settimana fa si sono spenti i riflettori alla conferenza sul clima di Parigi. I protagonisti del maratona negoziale hanno cantato vittoria attribuendosi il successo della conferenza. Alcuni scienziati hanno però fatto notare la debolezza di un accordo che non contiene indicazioni operative o scadenze precise verso l’ambizioso obiettivo “zero emissioni” di gas serra e, soprattutto, non prevede sanzioni per i paesi che non rispettano i patti.

 

Tutti i mezzi di comunicazione hanno sottolineato molto il comma a) dell’articolo 2 dell’Accordo di Parigi, in cui i paesi si impegnano a mantenere “l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali”, giudicato da autorevoli climatologi come il “punto di non ritorno”.

 

Alcuni hanno osservato che nel comma b) compare, per la prima volta in un accordo sul clima, il concetto di “adattamento” ai cambiamenti climatici, nell’interesse degli arcipelaghi oceanici che rischiano di scomparire a causa dell’innalzamento del livello del mare.

 

Pochi hanno notato il potenziale dirompente del comma c) in cui si afferma la necessità di rendere “i flussi finanziari in linea con un percorso verso basse emissioni di gas serra”. Non penso che il comma c) sia in grado di modificare i flussi finanziari, credo piuttosto che sia la constatazione di un processo già in atto, constatazione che costituisce un forte segnale agli investitori. Come ha scritto Maurizio Ricci su www.repubblica.it, la politica è volubile, l’economia è inarrestabile, e da tempo autorevoli economisti ritengono “a rischio” gli investimenti nei combustibili fossili.

 

Già il 13 aprile Jim Yong Kim, presidente della Banca Mondiale, aveva dichiarato: «Abbiamo bisogno di sbarazzarci degli aiuti ai combustibili fossili ora». Gli incentivi per i combustibili fossili ammontano a circa 550 miliardi di $ l’anno, otto volte gli incentivi per le energie rinnovabili!

 

Nicholas Stern, già dirigente della Banca Mondiale e autore del Rapporto Stern sui cambiamenti climatici per il governo britannico ha affermato: «Dal summit [di Parigi] esce con chiarezza la direzione che sta prendendo l’economia. Chi oggi deve decidere gli investimenti da fare avrà molta più fiducia nel … settore a basse emissioni … Siamo al punto di svolta».

 

Paradossalmente, l’impulso più forte per l’attuazione dell’Accordo di Parigi potrebbe venire proprio dalla finanza che, fino ad oggi, ha investito principalmente in combustibili fossili.

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