Claudio Abbado

A70 anni, il Maestro continua a rinnovarsi. E perciò, a stupire. La Gustav Mahler Jügendorchester – età media 25 anni – pende dal suo gesto che fa nascere e vivere la musica, in un distacco da sé stesso raro fra i direttori. Intelligenza e armonia contemplano così la Nona Sinfonia di Mahler: un dolore-amore che riporta a luoghi dove la sofferenza e la morte sono sublimate e rasserenate, per cui l’interminabile Finale è quasi un’estasi di addio alla vita: un paradiso raggiunto, anche se per poco, più che un commiato, dopo la tempesta già postmoderna degli altri tempi. Difficile non pensare ad un commiato dello stesso Abbado, vedendolo tanto immerso in una sinfonia che è anche lotta per la vita. Ma con maggior pace che nella precedente tappa beethoveniana del Maestro a Roma: c’è una maturazione indubbia, e non solo a livello artistico. L’orchestra, con un simile direttore, s’è galvanizzata: certi stridi infiniti dei violini, certe amarezze misteriose degli ottoni, alcune densità dell’arpa erano di una bellezza incredibile. La bacchetta, inesorabile e dolce, di Abbado ha spalancato l’anima di Mahler. Fratello di un pubblico emozionato – all’Accademia nazionale di Santa Cecilia – di fronte ad un interprete realmente unico.

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