Cinquant’anni fa su Città Nuova

Riportiamo un ampio stralcio di una meditazione di Doriana Zamboni sul dolore nel mondo.

Sappiamo che sotto tutto è al vivo

 

Si parla tanto, oggi, dell’Algeria. Angolo di mondo dove la vita è una continua veglia d’armi, dove la guerra è per le strade, dove la morte è sull’uscio di casa. Per chi combatte, dall’una e dall’altra parte, è un inferno. Un legionario scrive: «Qui ho imparato a odiare, a uccidere, a non vivere più di fantasie, ma a vedere le cose, i fatti, come si vivono. Quando sto sulle montagne, nelle foreste, sotto l’acqua o la neve, al freddo, aspettando che vengano a farmi fuori, ho un solo pensiero: ogni ideale è morto; non attacca più!». I cosiddetti “pieds-noirs” – gli europei nati in Algeria – vivono nella paura d’essere sopraffatti dagli arabi, e gli arabi reclamano il diritto d’esser trattati come i bianchi. Chi ha ragione? Chi ha torto? Una sola cosa accomuna tutti: il patire. Se si vuole comprenderli – ha detto uno di loro – è necessario avvicinarli con lo stato d’animo dell’infermiera che, quando toglie le bende, sa che sotto tutto è “al vivo”.

La sofferenza – il martirio – che persiste ed aumenta al di là della “cortina”, non è certo cancellata dal sorriso dei capi o dalle colombe della pace. Né è da credersi che i persecutori di là – commissari o poliziotti – non siano essi stessi oppressi dal loro sistema, che li controlla senza dar respiro.

La gioventù è il termometro degli ideali di un popolo? In molti Stati d’Europa i giovani sono tristi: non mancano i disperati che cercano sfogo in criminalità e stranezze: che si ribellano a tutto. Nasce la “jeunesse revolté”, i “tricheurs”, che a nulla più credono, che non hanno più fiducia di nessuno. L’amarezza li porta a bere a qualunque bicchiere venga loro offerto.

C’è ancora chi spera: e spera perché crede. Ma, anche fra loro, vi sono i “solitari”, che non osano scoprire la propria anima o l’anima del vicino: per tema di soffrirne ancora di più e di non saper poi cosa fare. L’umanità ripete oggi col Cristo: «Non c’è più parte sana in me».

Che fare? Forse le parole di quell’algerino ci possono  indicare il primo passo: toglierci le bende sapendo che, sotto, tutto è al vivo. Ogni uomo nasconde la sua piaga. Se riusciremo per il comune patire, per la fraternità umana a toglierci l’un l’altro le bende per lenire il dolore con la grazia di Dio scopriremo in noi la carità. Quella che Gesù ci ha dato per legge. L’unica soluzione della sofferenza umana di ieri, di oggi, di sempre.

Doriana Zamboni

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