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Centralità della persona, povertà e ambiente

di Daniela Notarfonso

- Fonte: Città Nuova

Bioetica e ambiente. L’antropocentrismo deviato distrugge le relazioni con sé stesso, con gli altri, con l’ambiente e con Dio: «Quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa» ( Laudato Si’ n. 117)

 

Ambiente, salute e persona (Photo/Michael Probst)

Da quasi due anni ci troviamo a vivere una crisi globale che ha acutizzato le tensioni già presenti nelle nostre società. Tensioni geopolitiche, emergenze ambientali, crisi sanitaria, cc.  Appare evidente che sotto ciascuna di queste ci sia una ingiustizia che sta diventando sempre più diffusa ed odiosa: quella della disuguaglianza sociale con il divario tra ricchi e poveri che si è acutizzato arrivando a livelli insostenibili.

Pensando a questo tema così devastante e determinante per il futuro delle nostre società, non si può non fare i conti sulla riflessione che papa Francesco ha fatto nella sua Enciclica sulla Cura della Casa Comune: la Laudato Si’ (LS).

La sua lettura è un’esperienza fortissima, occasione di conversione e riscoperta di una “vocazione”: il testo è densissimo nei contenuti, ma semplice e comprensibile. Richiede certo una lettura attenta, ma non usa parole criptiche, bensì chiare e capaci di “attraversare” il lettore, provocando molte domande esistenziali che necessitano una risposta, ciascuno a livello personale, ma anche e, direi soprattutto, comunitario, sociale e politico.

Ridurre la LS ad un documento “ambientalista”, vuol dire declassarlo e depotenziarlo. L’argomento ambientale è certamente importante, nel testo ne è, diciamo così, lo spunto da cui partire, ma rappresenta solo una piccola parte del suo argomentare che invece costituisce, a mio parere, una sorta di declinazione antropologica, etica, politica e sociale dell’impronta trinitaria presente nell’uomo e in tutto il creato. Tale riflesso trinitario, che nell’Enciclica è richiamato alla fine del testo, ma che è presente come orizzonte di riferimento che comprende la realtà e le indica la strada, si esprime anche nella modalità di relazione che l’uomo ha con il mondo, con gli altri uomini e con Dio e che allarga totalmente la prospettiva.

È possibile scorgere al cuore dell’Enciclica un antropocentrismo, potremmo dire, oblativo[1], che si oppone a quello “deviato” e che è, da un lato, capace di elaborare quella Ecologia Integrale (LS Cap. Quarto), ambientale, economica, sociale e culturale nella quale “Tutto è intimamente relazionato” (137); e dall’altro di guardare la realtà partendo sempre “dagli occhi, dalle mani e dal grido dei più poveri. Il povero, non come categoria sociologica o politica, ma come realtà concreta, è l’immagine etica per eccellenza, perché dalla sua indigenza e nell’irruzione della sua richiesta fa emergere i caratteri di un’etica dialogica”[2].

Questo richiede “un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo prendersi cura della natura” (n. 139).

Per una politica di partecipazione

L’eccesso di antropocentrismo “oggi continua a minare ogni riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami sociali” (n. 116), segno peculiare dell’impronta dialogica trinitaria. Tali legami sono infatti, un potente antidoto al paradigma economico dominante, che vede nel mercato e le sue leggi i veri signori dell’universo sui cui altari sacrificare i poveri, gli esclusi e tutti coloro che vorrebbero opporsi al suo dilagare, e ciò si può intravedere, ad esempio, “quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico” (n. 112) .

L’antropocentrismo deviato, infatti, ponendo l’individuo al centro del suo progetto, distrugge le relazioni con sé stesso, con gli altri, con l’ambiente e con Dio: “Quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità (…) difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa” (n. 117), infatti,  “non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali” (n. 119).

Come non riconoscere in questa frattura antropologica anche le cause che hanno condotto alla pandemia: la distruzione degli habitat naturali di specie di animali selvatici che sono arrivati sempre più a contatto con gli uomini arrivando addirittura ad infettarli da un lato; e la gestione privatistica della sanità che è stata trasformata in una fonte di reddito a disposizione di chi può pagare con la riduzione dei servizi offerti gratuitamente a tutti dall’altro.

Se l’unica finalità è quella economica non ci sono limiti al suo raggiungimento, anche a costo di manipolare indiscriminatamente il genoma, di sperimentare sugli embrioni umani vivi, di azzerare la biodiversità per intensificare e ampliare le produzioni più redditizie, di utilizzare i semi modificati geneticamente che alterano anche le colture circostanti.

Con una dura critica alle democrazie asservite al potere economico che governano soprattutto i paesi occidentali, il modello decisionale politico a cui fa riferimento l’Enciclica è quello partecipativo, diretta conseguenza di una concezione dell’uomo e dei popoli come protagonisti di ogni processo decisionale che riguardi ciascuno personalmente, le comunità, i territori: “attori sociali locali” (n.144), che vanno rispettati nelle proprie culture, tradizioni, patrimoni di conoscenza che hanno conservato per millenni gli ecosistemi. E’ questo il concetto di “Ecologia culturale” per la quale è indispensabile far “dialogare il linguaggio tecnico scientifico con il linguaggio popolare” (n. 143) attraverso un processo “vivo, dinamico e partecipativo” (Ibid.). L’attenzione e il rispetto per la specificità delle diverse culture parte anche dall’osservazione che “la scomparsa di una cultura può essere grave come o più della scomparsa di una specie animale o vegetale. L’imposizione di uno stile egemonico di vita legato a un modo di produzione può essere tanto nocivo quanto l’alterazione degli ecosistemi” (n. 145).

“Per poter parlare di autentico sviluppo occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana” (n. 147) che sia attenta a tutti gli aspetti che attengono alla vita quotidiana. Ci sono alcune condizioni di vita particolarmente povere che sono indegne della vita di un uomo; ma la dignità della sua vita non è data dalle sue condizioni economiche. Anzi, “la vita sociale positiva e benefica degli abitanti diffonde luce in un ambiente a prima vista invivibile” (n.148) e ci racconta la bellezza dell’essere umano e la sua capacità “di tessere legami di appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo” (n. 149). Nessun aspetto dell’abitare è trascurato, si parla così della cura degli spazi pubblici e della necessità di assicurare una casa ad ogni uomo perché “la proprietà della casa ha molta importanza per la dignità delle persone e lo sviluppo delle famiglie” (n. 152).

Bene comune e opzione preferenziale per i poveri

Ci si addentra così a mano a mano nell’analisi del principio del bene comune che “presuppone il rispetto della persona umana in quanto tale” (n. 157), “lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di sussidiarietà” (Ibid.) con una particolare attenzione alla famiglia che, per svilupparsi adeguatamente, ha bisogno di “pace sociale” e di una “giustizia distributiva” senza le quali si generano sempre tensioni e violenza.

Non si nascondono nemmeno le tante iniquità che fanno sì che “le persone (che) vengono scartate, private dei diritti fondamentali” (n. 158); in tali casi il bene comune si trasforma in un “appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri (…) (che) è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva realizzazione del bene comune” (ibid.).

Non si può tacere che l’attuale modello di sviluppo sia inadeguato ad interpretare e rispondere alle sfide che l’umanità deve affrontare: è necessario che “la politica e l’economia si pongano decisamente a servizio della vita umana” (n. 189) sottraendo alla finanza il suo potere di controllo dell’economia reale. Bisogna ripensare il nostro stile di vita: “è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti” (n. 193). Bisogna riscoprire il valore della sobrietà come segno di responsabilità verso i più poveri e verso i nostri figli la cui vita dipenderà dalle scelte che faremo. Scelte quotidiane che hanno il loro valore, tanto che, anche scegliere i prodotti da acquistare è un potere che ogni cittadino detiene e che va esercitato con consapevolezza.

La conversione ecologica

Si tratta di compiere una vera e propria esperienza educativa e spirituale, una “conversione ecologica”, appunto “dove la spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda” (n. 216). Questa possibilità è propria dell’uomo in relazione armoniosa con sé e con la natura perché “tutta la realtà contiene in sé un’impronta trinitaria” (n. 239), questa però può essere colta se si è capaci di amore, amore concreto che diventa civile e politico e “si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore.  (…) L’amore sociale è la chiave di un autentico sviluppo (…) e ci spinge a pensare grandi strategie che arrestino efficacemente il degrado ambientale e incoraggino una cultura della cura che impregni tutta la società” (n. 231).

Grazie a questo atteggiamento di attenzione all’altro che non mi è più indifferente, possono nascere realtà associative orientate al bene comune nelle quali “si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dell’indifferenza consumistica. (…). In tal modo ci si prende cura del mondo e della qualità di vita dei più poveri (…). Queste azioni comunitarie, quando esprimono un amore che si dona, possono trasformarsi in intense esperienze spirituali” (n. 232) che cambiano il corso della storia e fanno sentire il condominio, il quartiere, la città, il mondo intero, davvero come Casa Comune.

 

[1] Rondinara S. Laudato si’ Verso una ecologia integrale, in Nuova Umanità XXXVII ottobre-dicembre 2015

[2] Sandonà L. La terra ci precede, in Nuova Umanità op. cit.

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