C’è bisogno di altro

Piuttosto che colpire le relazioni sindacali occorre andare alla radice del disordine dei mercati finanziari. Intervista a Stefano Biondi, sindacalista Fiba Cisl
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Sulla questione dell’articolo 8 della manovra chiediamo il parere di Stefano Biondi, sindacalista della Fiba Cisl. Impegnato su diversi fronti a costruire rapporti di unità sindacale, mantiene uno sguardo sempre attento al mondo finanziario, necessario per comprendere l’attuale stretta in cui viene a collocarsi la disciplina del lavoro in Italia.

 

«Innanzitutto occorre dire che la questione introdotta dall’articolo 8 è strumentale e impropria nel contesto della manovra, e assolutamente ininfluente ai fini dei conti. Il tema richiederebbe comunque un contesto adeguato e pertinente e una discussione ampia e libera. Invece si "approfitta" della situazione per porre in atto una destrutturazione sistematica delle relazioni sindacali e dei diritti dei lavoratori. Innanzitutto va riconosciuta l’importanza della contrattazione collettiva per evitare la nascita di una babele di contratti aziendali, profondamente modificativi dei contratti collettivi nazionali come delle leggi, compreso l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che rimane fondamentale per far rendere effettivi i loro diritti. Senza questa protezione crescerà l’esposizione dei lavoratori alle prevaricazioni e all’arbitrio. Necessita piuttosto contrastare la creatività di certe operazioni societarie, come le cessioni di ramo d’azienda, create apposta per far venir meno certe acquisizioni, come ad esempio la previdenza integrativa, della contrattazione di secondo livello».

 

Ma questo articolo non è una delle poche scelte inamovibili di una manovra finanziaria dettata dall’Europa ?

 

«Sia come sia, la manovra è nei fatti profondamente iniqua e al tempo stesso aleatoria, con pochi e vaghi elementi strutturali. Siamo di fronte all’ennesima manovra correttiva che renderà ancora più drammatica la situazione economico-produttiva del Paese. È ora il tempo in cui dobbiamo denunciare, invece, il fallimento del capitalismo finanziario, per non dover ripetere le dannose politiche di aggiustamento strutturale subite dai Paesi più impoveriti del pianeta come il taglio alla spesa pubblica, la privatizzazione dei servizi pubblici e dei servizi alla persona, la perdita di potere di acquisto dei salari, l’incremento pressione fiscale sui redditi da lavoro».

 

E cosa occorrerebbe invece ?

 

«Si potrebbero intanto tagliare e molto le spese militari, fra cui i quasi 20 miliardi per l’acquisto degli aerei F35. Tassare poi le rendite, riducendo la pressione fiscale sul lavoro dipendente e sulle imprese; tassare infine i grandi patrimoni. La patrimoniale non fa scandalo in nessun altro Paese d’Europa e non vedo perché dovrebbe farlo da noi, dove urge correggere la distribuzione del reddito dato che la concentrazione della ricchezza è uno dei mali strutturali italiani, il principale ostacolo allo sviluppo e una causa di rottura della coesione sociale».

 

Il sindacato si trova quindi davanti ad un bivio?

 

«Certo. Il sindacato ha la possibilità di avviare un percorso di cambiamento democratico del Paese o scegliere di adattarsi ad una prospettiva di progressivo deterioramento del tessuto civile».

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