Catwoman

Non che da un film che racconta di una donna riportata in vita da un gatto acquisendo in tal modo superpoteri e una nuova personalità ci si potesse aspettare un capolavoro, ma obiettivamente Catwoman riesce a deludere anche gli spettatori più benevoli animati dalle aspettative più modeste. Lo spessore del film è sottile come la pagina di un fumetto e per lunghi tratti l’elemento portante sembrano essere i costumi sempre più essenziali indossati dalla protagonista. Ma né Halle Berry nei succinti panni della donna-gatto, né tanto meno un’improbabile Sharon Stone nel ruolo del villain di turno riescono a dare un minimo di significato a una storia insipida e prevedibile, affossata per di più da un pletora di personaggi irritanti nella loro bidimensionalità che l’afasica regia di Pitof, più bravo a dirigere le controfigure che non gli attori, non fa che esaltare. Un fallimento completo, insomma, ma non scontato perché il fumetto sul grande schermo, soprattutto nell’ultimo decennio, ci ha regalato anche momenti di bel cinema. Soprattutto a partire dal Batman di Burton, il cinema ha portato alla luce supereroi diversi da quelli di una volta. Gli eroi solari e confortanti di ieri si sono trasformati in uomini ambigui e contraddittori, prime vittime delle proprie ossessioni e giustizieri ormai non più senza macchie e paure. Nel fumetto come nel cinema questa evoluzione ha segnato un genere e dato vita a risultati anche artisticamente rilevanti. Catwoman, da questo punto di vista, rappresenta una delle eccezioni che confermano la regola, per cui non resta che aspettare l’uscita del secondo episodio di Spiderman, sperando di assistere a uno spettacolo di altro livello.

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