Caro papà

130 anni fa nasceva Franz Kafka. Con il suo impetuoso talento narrativo ha saputo rappresentare le oscurità che sono in ognuno di noi
Statua dedicata a Franz Kafka

All’inizio di luglio di 130 anni fa, nella Praga grigia e dorata, misteriosa e assolata, nasceva il piccolo Franz che il mondo avrebbe poi conosciuto come un grande e inquietante scrittore. Un pesce fuor d’acqua, si sentiva Franz, nella vita. Come tanti di noi. Lui possedeva un impetuoso talento narrativo, tanti di noi che di fronte all’esistenza provano il suo stesso senso di smarrimento e di angoscia, non ce l’hanno: ma questo non cambia molto nel vivere quotidiano. Lo scrivere era il suo mestiere, fare l’impiegato o la parrucchiera è quello d’un altro: come ci si pone di fronte alla vita, nell’intimità della propria persona, è ciò che conta. E Franz, della vita, aveva paura. Come tanti di noi.

Lui guardava la vita con cocente desiderio, sognava la leggerezza che dà la libertà e la gioia di vivere, ma da essa ne era intimorito, e cercava di fuggirne, per rinchiudersi nei fantasmi della sua mente, dove albergava una poderosa immaginazione, sostenuta da un certosina capacità introspettiva. Da dove veniva la sua paura di vivere? Dall’incapacità di affrontare e superare i suoi problemi? Dalla sua debolezza e intima vigliaccheria, di cui si vergognava e che continua a rimproverarsi? Dal suo smisurato egoismo, dal suo vedersi sempre al centro del mondo, per poi, frustrato, rifugiarsi continuamente nell’autocommiserazione e nel vittimismo? Sì, lui si accusava anche di questo. Per poi cambiare totalmente ottica, e incolpare dei suoi problemi il padre: «Caro papà, recentemente mi hai chiesto perché io affermi di avere paura di te. Come sempre non ho saputo risponderti, in parte proprio per la paura che provo nei tuoi confronti, in parte perché i particolari che concorrono a motivare questa paura sono troppi perché io riesca in qualche modo a metterli insieme in un discorso; e se ora provo a risponderti per iscritto, sarà comunque una risposta molto incompleta, perché anche nello scrivere mi intralciano la paura nei tuoi confronti e le conseguenze, e perché la vastità della materia supera di gran lunga la mia memoria e la mia intelligenza».

Di fronte al padre, Franz viveva in stato di perenne soggezione, sentiva crescere dentro di sé una svilente inadeguatezza: «Già soltanto la tua corpulenza mi schiacciava; mi ricordo le tante volte che ci siamo spogliati nella stessa cabina: io magro, debole e sottile; tu forte, alto e robusto. Già nella cabina mi facevo compassione e non solo di fronte a te, ma di fronte a tutto il mondo, perché tu eri per me la misura delle cose».

Un rapporto interiore conflittuale: da un lato una smisurata ammirazione per il padre, la voglia di compiacerlo, dall’altro la rabbia per non riuscirci e sentirsi sempre umiliato. Da un lato vedeva il padre: un uomo sicuro di sé, dotato di «forza, salute, appetito, potenza di voce, capacità oratoria, autosufficienza, senso di superiorità, tenacia, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, irascibilità»; dall’altro vedeva se stesso: un bambino pauroso e testardo. Divorato da questo tormento interiore, Franz – come tanti di noi – coccolava la morte. Per paura della vita. Oppure sognava il matrimonio, che nella sua immaginazione rappresentava il modo per pareggiare il conto con il padre. Sognava in esso la liberazione dai suoi problemi e l’indipendenza: «Io avrei una famiglia, vale a dire la meta più alta che a mio avviso si possa raggiungere, una meta che tu hai raggiunto, e quindi saremmo alla pari». Ma un matrimonio non si può reggere su queste basi, e infatti Franz non riuscì a sposarsi.

Amiamo Franz Kafka: perché ha saputo rappresentare simbolicamente in modo così intenso i nostri tormenti interiori, le oscurità che s’agitano dentro di noi. Amiamo Franz Kafka: un uomo inquieto, che ha cercato l’amore e raramente l’ha trovato, ed è stato inghiottito ancor giovane dalla malattia. Amiamo Franz Kafka, perché come lui, tanti di noi sentono la paura di vivere, lo smarrimento di fronte all’imprevedibilità della vita, lo sua logica insondabile. Ma amiamo anche quella Bibbia che lui, ebreo, ha letto e riletto. In essa, nel Deuteronomio, c’è un passo d’una forza sconvolgente: «Io ti ho posto davanti la vita e la morte… scegli dunque la vita». Per chi non è in grado di soffermarsi sui suoi tormenti interiori per descriverli e raccontarli, o per chi non vuole più farlo, ma vuole cercare di liberarsene, ecco l’invito della Bibbia: scegli dunque la vita!

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons