Carismi, una luce nella Chiesa

Se l’amore è la forma della Chiesa, i santi attraverso la loro umanità ne sono la dimostrazione più convincente.
Carismi

Riforma è sempre nuovamente una ablatio”. Così si espresse l’allora card. Ratzinger al Meeting di Rimini del 1990, recuperando un’immagine simbolica mutuata da san Bonaventura. Il teologo francescano, utilizzando l’esempio dell’intagliatore di immagini, considera l’opera dello scultore una ablatio che “consiste nell’eliminare, nel togliere via ciò che è in autentico. In queta maniera, attraverso la ablatio, emerge la nobilis forma, cioè la figura preziosa. Così anche l’uomo, affinché risplenda in lui l’immagine di Dio, deve soprattutto e prima di tutto accogliere quella purificazione, attraverso la quale lo scultore, cioè Dio, lo libera da tutte quelle scorie che oscurano l’aspetto autentico del suo essere, facendolo apparire solo come un blocco di pietra grossolano, mentre invece inabita in lui la forma divina. .

 

Se la intendiamo giustamente, possiamo trovare in questa immagine anche il modello guida per la riforma ecclesiale… Una simile ablatio, una simile ‘teologia negativa’, è una via verso un traguardo del tutto positivo. Solo così il Divino penetra, e solo così sorge una congregatio, un’assemblea, un raduno, una purificazione, quella comunità pura a cui aneliamo: una comunità in cui un ‘io’ non sta più contro un altro ‘io’, un ‘sé’ contro un altro ‘sé’[1]

In effetti, guardando alla storia della Chiesa si rimane immediatamente colpiti da un dato: nei momenti più bui e drammatici del suo cammino, lo Spirito Santo suscita uomini e donne che la spingono a rinnovarsi , a ritornare alle fonti, a ravvivare lo spirito delle origini, a liberarsi da ciò che può offuscare lo splendore del suo volto. Così è accaduto con Benedetto, Francesco, Ignazio…

 

Basta volgere uno sguardo retrospettivo sulla storia per cogliere lungo i secoli questa evidenza. Ogni carisma, illuminando un punto originale della volontà di Dio per la Chiesa di quel dato tempo, manifestando un nuovo tipo di conformità a Cristo e mostrando come deve essere vissuto il Vangelo, inaugura un movimento che rinnova o anticipa la riforma ecclesiale divenendo “una nuova interpretazione della Rivelazione[3]

 

San Benedetto

 

Nel tentare di stendere con qualche pennellata e in maniera sintetica un quadro che illustri come i carismi abbiano contribuito a rendere la Chiesa “semper reformanda”, partiamo dal monachesimo benedettino che agli inizi del primo millennio getta le basi per l’ evangelizzazione e l’edificazione dell’Europa. Dopo la caduta dell’Impero Romano l’Europa conosce un forte senso di smarrimento e di confusione: cade ogni sicurezza sociale, vengono meno le certezze della vecchia cultura, la forza e la violenza hanno il sopravvento sul diritto. In questo frangente si colloca la figura di Benedetto da Norcia il quale, leggendo i segni dei tempi, non si propone di inseguire un proprio progetto di ricostruzione, né di difendere le istituzioni e la cultura romana: vede che è “necessario realizzare il programma radicale della santità evangelica… in una forma ordinaria, nelle dimensioni della vita quotidiana di tutti gli uomini[4].

 

Riproponendo il modello della Chiesa primitiva e ritornando a praticare una vita comune che codifica nella sua regola “Scuola per il servizio del Signore”, Benedetto costruisce con i suoi discepoli “una piccola città cristiana nella quale regna l’amore, l’obbedienza, l’innocenza, l’animo libero dalle cose e l’arte di usarle rettamente, il primato dello spirito e della pace. In una parola, il Vangelo[5]Dallo sguardo contemplativo del “quaerere Deum” (cercare Dio) in ogni realtà, nasce l’amore per le lettere, la stima per il lavoro e un nuovo tipo di convivenza umana che testimoniano, in un mondo di violenze e di lotte, il miracolo di una fraternità che all’esterno sembra impossibile: sotto lo stesso tetto vivono persone di età, culture, razze, lingue, mentalità e ceti così differenti che, invece, nella vita sociale si combattono e si uccidono[6]. . 

 

Con la loro regola, sintesi tra fede, cultura e lavoro, i monaci propongono un metodo ed una testimonianza di vita cristiana possibile a tutti gli uomini, gettando il seme di una nuova civiltà che integrerà i valori cristiani con l’eredità classica da una parte e con le culture germanica e slave dall’altra.

 

Cluny

 

Lungo il primo millennio il movimento monastico conosce un’evoluzione, un cambiamento che si adegua al clima culturale del tempo. I secoli IX e X, secoli dell’anarchia, della frammentazione e del dissolvimento dell’impero carolingio, provocano la secolarizzazione della Chiesa e il suo assorbimento nel sistema feudale. Il monachesimo, subendone l’influsso, sperimenta un periodo di decadenza e di lassismo. È il momento più buio della Chiesa medievale che precede però l’alba di una rinascita religiosa che investe tutta la cristianità. In Francia, in Borgogna, sorge nell’anno 910 il monastero di Cluny che ritorna alla regola di Benedetto, (dedicandosi però alla preghiera e alla liturgia, mentre il lavoro, che era stato causa di accumulo di ricchezza, è affidato ai conversi.

 

Cluny diventa un centro propulsore di vita, di preghiera e di santità, grazie anche alla grandezza dei suoi abati e inevitabilmente esercita la sua influenza anche al di fuori del monachesimo, fungendo da battistrada per una riforma del clero. Fondamentali in questo senso sono i rapporti che l’abbazia, libera da ingerenze e dal controllo del potere locale, mantiene coi papi: dal suo dinamismo riformistico germina nell’undicesimo secolo la riforma gregoriana che, intraprendendo la lotta per la libertà della Chiesa, salva il papato dall’influenze e dall’ingorgo delle contese fra nobili romani e dalla mondanizzazione. Ildebrando, futuro Gregorio VII, è un monaco cluniacense.

 

Sempre in seno alla Chiesa, verso la fine dell’XI secolo si sprigionano movimenti che intendono risalire alle origine del Vangelo: si ritorna all’eremitismo con san Romualdo, san Nilo, san Giovanni Gualberto che fondano eremi in luoghi selvaggi e isolati, punti di preghiera e di ascesi (Camaldoli, Grottaferrata, Vallombrosa), attingendo ai padri della Chiesa. San Pier Damiani, successore di Romualdo, trasforma Camaldoli in centro propulsore di riforma e di teologia. In questo modo l’eremitismo si fa strada nella Chiesa, apportando la penitenza e la spinta per la rinnovazione dei chierici.

 

Certosini e cistercensi

 

La riforma gregoriana aveva dato slancio e vigore alla Chiesa, stimolando tra l’altro i fedeli a vivere il Vangelo. Tuttavia non era riuscita ad estirpare le cause che conducevano molti prelati ad vivere uno stile di vita che ignorava totalmente la responsabilità del loro ministero e che si dedicava esclusivamente alla realizzazione dei propri interessi. In questo contesto travagliato e contraddittorio, tra l’anelito all’autenticità evangelica e il desiderio sfrenato del benessere, del lusso cresciuto dopo l’impatto con l’Oriente attraverso le crociate, nascono gli ordini di monaci e di canonici che, per reagire ad un generale clima di rilassamento, propongono con maggiore purezza l’ideale della vita evangelica.

 

All’inizio del XII secolo si affermano gli ordini dei Certosini e dei Cistercensi che, situandosi in zone malsane e acquitrinose, e dedicandosi al lavoro manuale contemplato nella regola primitiva, ritornano a vivere l’esperienza monastica con semplicità e povertà evangelica. Durante il XII secolo le abbazie si sviluppano in Europa in modo imprevisto: Bernardo di Chiaravalle da solo fonda o riforma sessantasei monasteri. Imponente è la sua figura: finché vive, e ancor più dopo la sua morte, Bernardo esercita attraverso la contemplazione e la predicazione una vasta e duratura influenza sulla vita della Chiesa. Furono questi carismatici che, sotto il soffio dello Spirito Santo, resero nuovamente incandescente il nocciolo della fede.

 

Francesco e Domenico

 

Accanto a questo risveglio religioso, però, incomincia a maturare una forza di opposizione alla gerarchia spesso corrotta o incurante della vita del popolo, forza che emergerà nel XII secolo con i movimenti pauperistici . Alcuni di essi si staccano dalla Chiesa e abbracciano una dottrina eretica come i Catari; altri si pongono in un atteggiamento di aperta contestazione, rivendicando di essere loro la vera Chiesa, perché fedele alla fisionomia della comunità primitiva.

 

In questo frangente lo Spirito Santo suscita gli ordini mendicanti di san Francesco e di san Domenico che riportano, vivendo un’adesione totale a Cristo e alla Chiesa, la freschezza e la bellezza del Vangelo osservato “sine glossa”. Entrambi non hanno certo intenzione di fondare nuovi ordini. Il desiderio che li muove è semplicemente quello di ritornare al Vangelo, rinnovare la Chiesa, raccogliere il popolo nuovo attraverso la scelta della povertà e la predicazione.

 

Innocenzo III, che aveva intuito come alla base dei movimenti pauperistici ci fosse una sete di purificazione e di rinnovamento, riconosce la forza profetica ed evangelica dei due ordini, li approva e li incoraggia alla predicazione che i frati praticano nelle città e nelle campagne, spostandosi da un villaggio all’altro, andando oltre i confini della cristianità.

Assumendo i valori e i fermenti del monachesimo e dei movimenti spirituali precedenti, purificando e rettificando le forme devianti delle eresie del momento, inserendosi nelle scuole e nelle università, e soprattutto vivendo e proponendo la radicalità del Vangelo di Gesù gli ordini mendicanti contribuiscono a dare una forte spinta in avanti alla Chiesa e alla società del Medioevo.

 

Nel tardo Medio Evo si continua a sentire la necessità di una riforma e molteplici sono gli sforzi per attuarla che rimangono disattesi. La Chiesa sperimenta un momento di forte oscuramento e smarrimento: è il periodo della cattività avignonese, dello Scisma d’Occidente, nel quale però non mancano figure luminose e carismatiche come quelle di Caterina da Siena o di Brigida di Svezia, e nemmeno vengono meno gli sforzi di eccellenti presbiteri o di uomini e donne tesi a rinnovare la pietà, a renderla più personale e più viva nel popolo fedele.

 

La Riforma

 

Ci troviamo neglianni che vanno dal 1400 al 1600: gli anni della Riforma e della Riforma cattolica, di cui ora scorgiamo gli aspetti comuni, poiché esse traggono la loro linfa da un passato comune. Jedin fa notare che c’è una connessione con il periodo precedente:“La mancata riforma della Chiesa, il Conciliatorismo, la parte determinante che gli Stati hanno avuto nel Concilio di Basilea, l’intromissione del papato nella politica territoriale italiana, sono i diretti presupposti della riforma, non meno del sorgere della nuova cultura umanistica e rinascimentale, non meno dei sovvertimenti economici e sociali nel corso dei secoli XIV e XV. .

 

Anche le radici del rinnovamento cattolico del XVI secolo affondano in questo periodo. Una sola linea unisce S. Ignazio di Loyola con la Devotio Moderna: le riforme degli ordini nel 1500 si ricollegano per molti aspetti a quelli del tardo Medio Evo; la Riforma tridentina è in larga misura l’attuazione dei programmi riformistici elaborati nel tardo Medio Evo[7]

Il dinamismo riformatore, infatti, maturato nel cuore della età rinascimentale e incanalato nelle due Riforme, si manifesta nella Chiesa cattolica con una fecondità creativa che genera una fioritura incredibile di nuovi santi, di leader carismatici che con la loro forza di contagio lanciano messaggi, raccolgono attorno a sé dei seguaci, danno vita a movimenti, associazioni, confraternite, opere caritative ed educative, seminari per la formazione dei preti.

 

Nel Cinquecento, l’Italia e la Spagna sono il campo nel quale fioriscono nuovi ordini e si rifondano famiglie antiche che si possono individuare in tre direzioni: una contemplativa (Teresa d’Avila), una culturale-sociale (Ignazio di Loyola), una apostolica-caritativa (Canonici regolari).  La spiritualità si fa più attenta all’uomo, alla sua interiorità psicologica. Si sviluppano la psicologia spirituale e il discernimento degli spiriti. Teresa d’Avila scrive il Castello interiore, Ignazio di Loyola stende gli Esercizi spirituali. Le opere dei due santi nascono dalla necessità di un’ascesi e di una purificazione capace di reagire al generale clima di decadimento.

 

Teresa anticipa la riforma della vita monastica tridentina, Ignazio assume in modo propulsivo e innovativo le spinte riformistiche emerse dall’assise conciliare. Mentre in Ignazio l’azione o il servizio alla Chiesa è concepito con tale obbedienza e assoluta nudità da farla divenire contemplazione, in Teresa la vita contemplativa è in se stessa azione ecclesiale, una vita che esprime il mistero della Chiesa, sposa di Cristo.

 

Nuove strade di carità

 

Questi carismi, insieme ai movimenti nati nel tempo della pre-riforma e durante la riforma cattolica, contribuiscono a rinnovare la Chiesa nel suo interno, ma anche ad aprire nuove strade di evangelizzazione e di carità. L’incarnazione del Vangelo passa attraverso nuove forme concrete di carità organizzate, soprattutto rivolte ai poveri e umili. I santi si sentono chiamati a rispondere alle grandi necessità sociali, ammalati da curare, ragazzi da istruire, poveri da aiutare ecc. Lo Spirito li porta a dedicarsi al servizio dell’umanità in tutte le sue miserie.

 

In Italia si assiste allo sviluppo dell’Oratorio del Divino Amore, a cui aderiscono molti laici e nel quale maturano figure di fondatori e fondatrici (Teatini, Somaschi, Orsoline, Camilliani ecc.), ben prima che la riforma protestante avesse occasione di manifestarsi. Sullo sfondo della Chiesa francese del ‘600, uscita stremata dalle guerre di religione, segnata da contraddizioni e abusi di potere, si stagliano invece figure come Bérulle, Francesco di Sales, Vincenzo de’ Paoli, per citare qualche nome, che contribuiscono a far risplendere la bellezza al volto della Chiesa, attraverso l’evangelizzazione e la carità. Le opere di questi fondatori anticipano riforme e istituzioni che si realizzeranno successivamente e terranno vivo il cristianesimo in un periodo, quello del ‘700, in cui si affermano l’Illumunismo ed un’ostilità nei confronti della Chiesa che si manifesterà in modo drammatico durante la Rivoluzione Francese.

 

Nel contesto del XVIII secolo vanno ricordati due nomi che in un clima culturale avverso realizzano attraverso le missioni popolari una pastorale più idonea a raggiungere la gente semplice, molto trascurata e paganeggiante: Alfonso Maria di Liguori e Paolo della Croce. Anche nella Chiesa protestante si assiste al sorgere di movimenti di riforma che si oppongono all’irrompere della miscredenza e del materialismo. Notevole l’influsso del Pietismo sorto in Germania (fondato da Philipp Jacob Spener) con il proposito di riformare l’ortodossia luterana, svilita da speculazioni polemiche, ridotta a consuetudini esteriori nel culto e secolarizzata nell’amministrazione.

 

Il Pietismo influisce in modo un profondo e benefico nel campo sociale, caritativo, missionario e artistico. Anche l’Inghilterra conosce un momento di risveglio e di rinascita attraverso il movimento “Metodista”, sorto dall’anglicano J. Wesley. Proponendo un metodo di incontro e di vita cristiana che contempla preghiera, letture edificanti, digiuni, opere di carità, Wesley favorisce il rinnovamento della fede e della pietà popolare con effetti positivi di risveglio in tutto il mondo protestante.

Agli inizi del XIX secolo, la Chiesa, spogliata e segnata dalle prove subite durante il periodo rivoluzionario, avvia in ogni campo un’opera di ricostruzione: prevale l’interesse degli spirituali e dei fondatori dell’800 per la vita attiva anziché per la vita contemplativa. “Lasciar Dio per Dio” è la frase ricorrente fra i membri delle associazioni e i sacerdoti che rivalutano l’ideale del buon pastore d’anime.

 

Se da una parte questo secolo è considerato come un periodo di decadenza religiosa e di crescente progresso di scristianizzazione, dall’altra si rivela come un tempo di fermento spirituale e missionario.

In un contesto che sta cambiando socialmente, caratterizzato dalla presenza di un popolo colpito dalla povertà e dalla disumanizzazione imposta dall’industrializzazione selvaggia, emergono esperienze carismatiche capaci di cogliere i bisogni e le sfide del tempo, sia in campo educativo che in campo sociale ed assistenziale. Sorgono molteplici congregazioni, istituzioni religiose, soprattutto femminili, che traducono la dimensione caritativa della Chiesa, pur in un clima segnato da chiusure e smarrimenti all’interno della Chiesa stessa. Gli ambienti più malsani e più malfamati, le classi più disprezzate e abbandonate, le età e le condizioni più esposte ai pericoli morali diventano oggetto delle cure dei grandi apostoli della carità. Maddalena di Canossa, Giovanni Bosco, Cottolengo, Cabrini, per fare qualche nome. Tutto l’800 è percorso dall’azione nascosta e tenace di moltissime donne e uomini che testimoniano nel mondo il volto amorevole e caritatevole della Chiesa.

 

I movimenti ecclesiali e le nuove comunità

 

Come in altri momenti della storia della Chiesa, accanto agli avvenimenti che hanno segnato il 900 (le grandi guerre, i totalitarismi, la secolarizzazione, l’inizio del processo di globalizzazione) e alle correnti di pensiero che l’hanno fecondata, la storia ecclesiale del XX secolo ricorda lo sviluppo del laicato, la nascita di istituti secolari, il sorgere di gruppi che come una nuova pentecoste fioriscono e danno nuovi frutti di rinnovamento. Particolarmente innovativi i movimenti ecclesiali che, nati prima o subito dopo il Concilio Vaticano II, costituiscono nella loro originalità e pluralità una proposta di santità aperta a tutta la Chiesa come popolo di Dio in cammino.

 

Di fronte alla sfida della post-modernità e della globalizzazione diventa urgente un ritorno all’esperienza originaria del Vangelo di Gesù crocifisso e risorto, in grado di rendere presente il lievito del regno di Dio nei luoghi, negli ambienti dove l’uomo abita: quello culturale, economico, politico, artistico… Von Balthasar, parlando dei movimenti, dice che: ad essi sembra che lo Spirito abbia affidato il compito (anche se non in modo esclusivo) di concretizzare il programma conciliare della chiamata universale alla santità, tenendo conto della presenza dei laici e il loro apostolato nel mondo (Lumen Gentium, n.4)[8].

 

L’apertura dei movimenti a tutte le vocazioni e a tutti gli stati di vita cristiana e la comunione sentita come esigenza ed esperienza ecclesiale, sottolineano l’uguale dignità battesimale e la complementarietà delle diverse vocazioni, dei diversi ministeri, dei diversi carismi. Giovanni Paolo II dice che “ciò che lo Spirito ha illuminato nel Concilio, lo ha espresso in questo dono nella vita della Chiesa[9]. e in questa prospettiva“i movimenti possono costituire (insieme ai religiosi chiamati ad essere ‘esperti di comunione’) delle scuole di ecclesiologia e di comunione[10].

 

Nel documento Ripartire da Cristo diventa allora suggestivo questo passaggio: “La comunione che i consacrati e le consacrate sono chiamati a vivere va ben oltre la propria famiglia religiosa o il proprio istituto… È il bisogno di essere Chiesa, di vivere insieme l’avventura dello Spirito e della sequela di Cristo, di comunicare le esperienze del Vangelo, imparando ad amare la comunità e la famiglia religiosa dell’altro come la propria… Gli antichi istituti, tra cui molti passati attraverso il vaglio di prove durissime, sostenute con fortezza lungo i secoli, possono arricchirsi entrando in dialogo e scambiando i doni con le fondazioni che vengono alla luce in questo nostro tempo… dall’incontro e dalla comunione con i carismi dei movimenti ecclesiali può scaturire un reciproco arricchimento.

 

I movimenti possono offrire l’esempio di freschezza evangelica e carismatica, così come l’impulso generoso e creativo all’evangelizzazione. Da parte loro, i movimenti possono imparare molto dalla testimonianza gioiosa, fedele e carismatica della vita consacrata, che custodisce un ricchissimo patrimonio spirituale, molteplici tesori di sapienza e di esperienza e una grande varietà di forme di apostolato e d’impegno missionario” (n. 30).

Non è forse questa la sfida del nuovo millennio che la vita consacrata è chiamata ad accogliere? Donare, attraverso la comunione dei carismi, il Risorto presente nella comunità, Gesù? I carismi, incarnati e vissuti nell’unità, possono essere profezia di un’umanità nuova, di una civiltà dell’amore cui tutta l’umanità è chiamata. Diventa così suggestivo l’invito che V.

 

Balthasar rivolge ai movimenti e a tutta la Chiesa: a guardare a Maria come “lo stampo su cui dovremmo essere modellati. Noi: vale a dire ogni singolo cristiano; ma forse ancor di più: la stessa immagine che noi abbiamo della Chiesa. Siamo continuamente impegnati a riformare e ad adeguare questa Chiesa alle necessità dei tempi, badando alle critiche degli avversari e secondo schemi nostri. Ma non perdiamo così di vista l’unico perfetto metro di misura, e precisamente il prototipo? Non dovremmo, nelle nostre riforme, tenere in permanenza lo sguardo fisso su Maria… semplicemente per imparare a capire cos’è la Chiesa, e a discernere l’autentico spirito ecclesiale?[11].

 



[1] J. Ratzinger, La Chiesa: una compagnia sempre riformanda, intervento al Meeting di Rimini del 1990.

[2] H.U. von Balthasar, La verità è sinfonica, Jaca Book, Milano 1974, p. 84.

[3] Id., Sorelle nello Spirito. Teresa di Lisieux e Elisabetta di Digione, Jaca Book, Milano 1974, pp. 20-21.

[4] Giovanni Paolo II, Omelia in occasione della visita pastorale a Cascia e Norcia, 23 marzo 1980.

[5] Paolo VI, Omelia per la proclamazione di San Benedetto a Patrono d’Europa, 24 ottobre 1964.

[6] G. Falco, La santa romana repubblica, Ricciardi, Milano-Napoli 19739, p. 95.

[7] H. Jedin, Storia della Chiesa, V/1, Jaca Book, Milano 1976, p. XXXVI.

[8] Cf. P. Coda, I Movimenti ecclesiali, dono dello Spirito, in Atti Congresso Mondiale dei Movimenti ecclesiali, Roma 27-29 maggio 1998, Città del Vaticano, 1999, p. 93 (che cita il giudizio di H.V.Balthasar sopra riportato)

[9] J. Beyer, I movimenti ecclesiali, in Vita consacrata 23 (1987) 156.

[10] P. Coda, op. cit., p. 96.

[11] H.U. von Balthasar, Maria nella dottrina e nel culto della Chiesa, in J. Ratzinger- H.U. von Balthasar, Maria, Chiesa nascente, Paoline, Roma 1981, p. 72.

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