Cambiare tutto perché nulla cambi?

Da una panoramica dei quotidiani online russi, qualche eco diretta della situazione post elettorale nel Paese degli zar
russia proteste piazza bolotnaja

«Che cosa è cambiato questa volta?». Una domanda che in Russia e altrove si pongono in tanti, non solo Irina Vojcech, nel suo editoriale su Utro.ru dal titolo significativo di «Il Cremlino si è inceppato». Le manifestazioni di sabato scorso in diverse città russe, e in particolare nella moscovita piazza Bolotnaja – 100 mila secondo gli organizzatori e la metà secondo la questura, evidentemente tutto il mondo è paese –, hanno infatti segnato a detta di molti una svolta nella terra degli zar: «Ne hanno addirittura parlato al telegiornale», commenta sarcastica la Vojcech, tanto che, come dichiarato da un portavoce di Medvedev a Gazeta.ru, «è stato lo stesso presidente a ordinare che le proteste non passassero sotto silenzio». Una scelta di realismo davanti all’impossibilità di nasconderle davvero: con internet e i social network, infatti, «i cittadini si sono avvicinati al processo elettorale – prosegue la Voijcech –, e per sempre meno persone le fonti di informazione ufficiali sono le uniche disponibili».

 

Gioco forza, dunque, il Cremlino ha dovuto cambiare registro rispetto alle maniere repressive dello scorso marzo, che «funzionano benissimo nei confronti di un’opposizione frammentata, ma sono inefficaci quando scende in piazza la classe media». Protagonisti delle manifestazioni, infatti, non sono stati i partiti d’opposizione, ma la gente comune: «un segnale importante che la cittadinanza attiva cresce notevolmente, ma al di fuori delle istituzioni». E infatti Medvedev ha scelto il mezzo meno istituzionale per eccellenza, ossia Facebook, per comunicare al Paese di non condividere le ragioni dei manifestanti, ma che «è stata comunque accolta la richiesta di fare chiarezza sulle elezioni». Ciò che non è del tutto chiaro è come, dato che il vicepresidente della Commissione elettorale centrale Stanislav Vavilov ha dichiarato all’agenzia Interfaks che «le elezioni si sono svolte regolarmente, e non c’è ragione di riconteggiare i voti». Anche dal presidente della Corte Costituzionale Valerij Zor’kin è arrivata una dura presa di posizione dalle colonne della Rossijskaja Gazeta: temendo «un nuovo 1993» (in cui 187 persone morirono negli scontri di piazza), il capo della suprema corte arriva ad accusare opposizioni e manifestanti di costituire «una minaccia per la stessa esistenza del nostro Stato», e ad auspicare l’uso della forza per ristabilire l’ordine.

 

Ed ora? Dopo la contro-manifestazione di ieri in favore del partito di Putin, che ha raccolto – sempre secondo la questura, ma stavolta la situazione potrebbe essere rovesciata…– 25 mila persone e che a molti è apparsa pilotata, è sceso in campo come sfidante di Putin alle presidenziali di marzo l’oligarca Michail Prochorov. Tuttavia, ironizza la Voijcech, ora la speranza del Cremlino sono le vacanze di Natale: «La gente va in ferie, si dimentica delle elezioni, e vota di nuovo Putin. E in caso contrario, si fa comunque uscire dalle urne il responso desiderato». Tanto più che «non c’è nessuno sfidante in grado di tenergli testa, e anche chi si affaccia ora alla campagna elettorale manca di una vera motivazione a combattere contro i possibili brogli». Piazza Bolotnaja, prosegue l’editorialista, «non è piazza Tahrir, né potrebbe diventarlo». Insomma, la gente è davvero solo «scesa in piazza per dire che nulla è cambiato»?

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