Brevi solidarietà

EMIGRATI Un identikit del segalese in Italia Il Sole 24 Ore del lunedì sta facendo il viaggio delle comunità. È la volta di quella senegalese, la prima comunità dell’Africa occidentale per numero di immigrati in Italia: sono 57.101, infatti, i residenti. Richiamati dal lavoro, si concentrarono nel bacino industriale di Bergamo e Brescia, dilagando come manodopera preziosa in Veneto. La comunità però fatica a mettere radici: le donne senegalesi sono solo il 17 per cento del totale, contro il 49 per cento della presenza media femminile tra gli extracomunitari. E i bambini delle scuole italiane nell’anno scolastico 2005-2006, sono 3.399, solo lo 0,8 per cento di tutti gli alunni stranieri. Potrebbe sembrare che non abbiamo piacere ad avere le nostre donne qui. Ma non è così – spiega Amed Ba, mediatore culturale senegalese, in Italia dal ’98 -. La nostra società è patriarcale: le donne fanno la spesa, i conti, scelgono i semi per i campi, le vorremmo con noi. Abbiamo paura che, se le sradichiamo, nessuno possa più trasmettere la cultura dei nonni ai nostri figli. Oltre a motivi culturali, esistono anche ostacoli economici e sociali. Ciascuno di noi – prosegue – invia in patria molti soldi per sostenere i parenti, come pensare anche di mantenere in Italia moglie e figli?. Non solo. A Nord abbiamo lavoro, stipendi sufficienti per portare le nostre famiglie in Italia spiega Ass Casset, presidente della Federazione delle associazioni senegalesi del Nord Italia. Sulla costa Adriatica invece i problemi sono di tutt’altra natura. La maggior parte dei nostri concittadini – racconta Papa Modou Sec, presidente dell’associazione dei senegalesi di Rimini – qui sono venditori ambulanti. Il lavoro è quasi stagionale: d’inverno non c’è turismo e quindi lavoro. Così molti di noi vanno in Senegal per tornare in Italia a primavera . La consistente rimessa economica senegalese è la prova di uno sguardo sempre rivolto verso la madrepatria. MINORI 60 anni sui Colli Aminei Sono passati ben sessant’anni dal giorno in cui i Padri Rogazionisti si sono insediati sui Colli Aminei a Napoli nell’antica villa Isabella. Ricordo quando ci entrai per la prima volta – dice padre Vincenzo Vollero, il più anziano dei religiosi napoletani -: ci pioveva da tutte le parti, poiché la casa portava ancora su di sé i segni di un violento bombardamento. La gente dei dintorni, dove c’era per la maggior parte campagna, prima ci guardò con sospetto, ma poi, vista la carità e lo zelo dei sacerdoti nell’occuparsi degli orfani, cominciò ad amarci sostenendoci anche nelle necessità materiali. In poco tempo, diventammo il centro spirituale e culturale della zona. Ed oggi? Intorno ai Rogazionisti, non ci sono più campagne ma solo alti palazzi. Non esiste più una casa sgarrupata ma una bella casa accogliente per i figli della nostra società, secolarizzata e malata. Non sono orfani di padre o di madre, ma non hanno alle spalle una famiglia. Li definiamo ragazzi difficili, ma in realtà sono solo ragazzi che chiedono amore. Oltre alla Comunità educativa Rogazionista (Cedro), i padri accolgono anche una quindicina di ragazzi che generosamente hanno deciso di intraprendere un cammino vocazionale. C.R.

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