Bramare la vita con la paura d’ottenerla

L'appuntamento con il libro di Città nuova Il fratello, di Igino Giordani, continua con un'analisi della crisi della nostra epoca vista sotto il profilo delle paure in tutte le sue declinazioni sociali e umane
Il Fratello - copertina

L’uomo è chiamato in primis a rispondere all’amore di Dio. Questo è il filo rosso che lega tutta la trama del libro Il fratello di Igino Giordani riedito oggi da Città nuova. Ma quanto della crisi che ha attraversato il Novecento, affrontata nello scorso appuntamento della rubrica, è influenzato dalla paura che sotto varie forme infetta il corpo sociale? Dirà alcune pagine dopo Giordani, giungendo così ad una riflessione postuma sull’argomento: «chi ama non ha paura: il suo Io – il possibile soggetto della paura – non esiste più: esiste l’Altro, quegli con cui il nostro Io s’è identificato; e l’Altro, anche in veste di fratello, è Gesù». Di seguito il brano in cui Giordani analizza i timori che – sotto varie declinazioni – attanagliano l’uomo moderno. 

 

«In questo clima, fatto di paura e di disperazione, la decadenza morale, letteraria, artistica, filosofica, civile scopre una crescente intossicazione del corpo sociale, indebolito dalle guerre (esse stesse da considerarsi ascessi dell’intossicazione). Così il corpo sociale oggi sta attraversando una sorta di isterismo per aver trovato finalmente un pretesto – quasi una giustificazione teologica – per odiare. S’è spaccato in due – si direbbe – perché gli uni possano compiere lo sbranamento degli altri senza per questo amar di più i propri. Ha conquistato la libertà di sbranarsi, e tutto gli par buono per difenderla.

 

Religione, patria, umanità, da legami si trasfigurano in miti divisori, per autorizzare le separazioni; i reliquati deteriori degli odi di fazione e casta del medioevo e della rinascenza si ravvivano nel clima rovente di passioni, dove sorge un’aberrante avversione contro gli eretici anziché contro l’eresia, dove l’intolleranza e l’ignoranza stanno come posizioni di forza.

Cristo venne per darci una vita – a noi dannati alla morte – e una vita più abbondante – a noi semimorti. E ci diede i mezzi per conseguirla: mezzi che si riducono (nella semplicità che è propria di Dio e del popolo) a un fatto solo: amare. Ami ed hai la vita. Ami di più e hai una vita più abbondante.

 

Ma sul nostro agire, come sul nostro volere, preme la mole della decadenza della natura e delle generazioni. Abituate esse all’illusione allucinante dell’odio come di un alcol frenetico – hanno abituato noi a cercare compromessi. A emulsionare l’amore nell’odio. A salvare le parvenze di quello, e a ingerire il nepente di questo. A trovare nella legge d’amore gli argomenti dell’odio. A cercare così la vita attraverso la morte: coi processi d’intossicazione, di putrefazione, di vivisezione.

Insomma si brama la vita e s’ha paura di ottenerla.

 

La stampa è gremita degli sforzi di ricerca dei pretesti per far guerra, mentre si proclama da tutti i microfoni la volontà di pace. E circolano per le vie le torme dei disoccupati, e in capanne e baracche e scantinati s’ammucchia la massa dei semimorti, votati alla t.b.c., al vizio, alla disperazione.

 

Pende sugli spiriti la minaccia della tirannide e dello sfruttamento; ed essi se ne stordiscono ammucchiandosi nei cinema, nei caffè, negli stadi. Urge d’ogni parte l’avanzata degli scheletri, i giannizzeri della Morte, che cercano un trionfo su Dio, per mostrare ai disperati l’impotenza di lui. E troppi figli di lui, troppo spesso – mentre si scannano tra di loro, senza fiducia e senza fantasia –, copiano modi e armi dei militi del principe della Morte, sparando odio contro odio, eccitando furore contro furore: e vorrebbero la Chiesa rifatta a organizzazione economico-politica per la fabbrica delle munizioni.

 

E il rimedio c’era: c’era stato offerto copioso, sicuro e facile: opporre bene a male, amore a odio; insegnare di nuovo a questi candidati ai genocidi del corpo e dello spirito, a questi votati alla schiavitù e alla strage, il segreto della vita: l’amore, amandoli; e riportare così il sorriso – l’iride, il sole – su questo concentramento di ombre nella notte.

 

Ma no: vi oppongono le ragioni della paura, che sono le ragioni dell’odio, del non-amore – le vecchie trite ragioni del paganesimo, del fatalismo, della miseria –, come canoni d’un machiavellismo cristianizzato.

 

Ed ecco che succede: di quanto cala la carità, di tanto si dilata la stupidità, con le espressioni dell’ebbrezza folle; di quanto si dilata l’odio, di tanto cala il lume dell’intelligenza e cresce la barbarie: la convivenza diviene un agguato; e con la tenebra discende la tristezza, fatta più greve dalla ricerca di divertimento, limitato ai sensi, e dal progresso delle scienze, destinate all’esterminio.

 

Il colmo della pazzia, eccitata dalla paura, è questo: che le scienze fisiche, con sforzi immani, sono riuscite a trovare l’esplosivo per distruggere la vita sul pianeta.

 

Mai come oggi la dialettica Chiesa e Mondo è stata una lotta di Vita contro morte. Più che mai l’eroismo cristiano, nella prova tremenda, rifugge dalla frenesia parolaia, in cui si crede di predicar Cristo perché si maledicono i figli di Dio, e suscita opere di bene anche a beneficio dei persecutori. Vince col bene il male. Oppone alla morte la vita. In quanti fratelli incontra ama Cristo. E compie la vendetta dei santi».

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