Biotestamento, quando l’etica diventa politica

Il disegno di legge in discussione alla Camera stimola nel nostro Paese il dibattito sul fine vita. Ne parliamo con il prof. Salvino Leone, medico e bioeticista
Salvino Leone

L’iter dura già da due anni, ma la sua conclusione non appare facile: lo scorso 7 marzo è approdato a Montecitorio il disegno di legge sul testamento biologico, che prevede la possibilità di effettuare una dichiarazione anticipata di trattamento (Dat), in cui si specifica quali cure si desidera o non si desidera ricevere in situazioni estreme. Il voto è previsto per aprile, ma tra emendamenti, richieste di sospensiva e dibattiti accesi la strada è tutta in salita. Quale sarebbe il reale impatto di questo disegno di legge? Ne parliamo con il prof. Salvino Leone, medico e docente universitario di medicina sociale e bioetica.

 

La questione appare come prettamente politica, tanto è vero che i voti si dividono essenzialmente lungo linee di partito: come si inserisce quindi la dimensione medica ed etica?

«In effetti la questione è esclusivamente etica, ma è stata giuridicizzata e politicizzata. Il nostro ordinamento e il codice di deontologia medica forniscono già indicazioni chiare riguardo al rifiuto dell’accanimento terapeutico e al rispetto della volontà del paziente, e la Chiesa stessa, nella dichiarazione sull’eutanasia della Congregazione per la dottrina della fede, ha affermato la legittimità del rifiuto del paziente ad un trattamento sproporzionato. L’aver avocato il tutto alla politica ha creato un problema di schieramenti, come se la vita fosse una questione di destra o di sinistra, e ha esasperato la separazione tra fronte laico e cattolico, quando l’etica dovrebbe essere una».

 

Il dibattito si concentra soprattutto attorno alla questione dell’alimentazione e dell’idratazione, che, in quanto non considerate cure, vengono escluse dalla Dat…

«Da medico, me la sento di affermare che esistono alcune condizioni in cui queste possono essere definite sproporzionate e quindi legittimamente tolte. Credo però che il problema stia a monte, nel concetto di vita come valore assoluto: il confine con la biolatria, ossia con l’assolutizzazione della vita fisica, può essere sottile. In fondo anche il cristianesimo la rifugge, ammettendo ad esempio il martirio».

 

Leggendo il testo del ddl, colpisce il fatto che ogni previsione è non vincolante: la Dat non è obbligatoria, dura cinque anni senza obbligo di rinnovo, e l’ultima parola resta comunque al medico. Si tratta di una mancanza di coraggio, di scarsa chiarezza, di assenza di un serio dibattito?

«Tutti questi fattori hanno un ruolo, ma in ultima analisi tutto può essere ricondotto ad una volontà di dire e non dire. Si potrebbe a questo punto chiedere a che cosa serva una legge non vincolante».

 

Esistono anche diversi sondaggi su come la pensano in merito gli italiani: ad esempio, secondo Eurispes, il 72,8 per cento sarebbe contrario alla possibilità di ignorare la Dat. A suo avviso, l’opinione pubblica è sufficientemente informata sulla questione?

«Indubbiamente non c’è sufficiente informazione, che molto spesso si limita a dibattiti televisivi, ma molti dubbi rimangono anche per i medici. Ciò che la gente sicuramente vuole è non soffrire e non subire accanimento terapeutico, ma per il resto non possiamo sapere a che situazioni concrete ci troveremo di fronte».

 

Oltre settanta Comuni italiani hanno già attivato i registri per le dichiarazioni anticipate: indice di sensibilità etica, o solo una mossa politica?

«Sono libere iniziative, che comunque confermano la politicizzazione della questione. Ma, fatta salva la buona volontà delle singole amministrazioni, non mi sembra indice di particolare sensibilità etica».

 

Detto questo, è d’accordo con l’affermazione di Umberto Veronesi, secondo cui è meglio nessuna legge che una cattiva legge come questa?

«È un’affermazione che vale per tutte le leggi, ma condivido questa opinione solo in termini generali: in questo caso, trattandosi di un provvedimento che di fatto non cambierebbe nulla, il fatto che venga approvato o meno non ha molta rilevanza».

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