Bergoglio, la Chiesa ed i tempi

Il Papa visita una delle tante periferie del villaggio globale. Parla ai messicani ed alla loro Chiesa, ma l’anima e le parole sono utili a tutti, perché forse la chiave per affrontare i mali di questo mondo sono proprio in questi luoghi di marginalità
Mexico

 

La visita del Papa in Messico racchiude molti significati. Intanto, sul piano spirituale e pastorale: era un ardente desidero di Bergoglio quello di inginocchiarsi davanti alla “morenita” di Guadalupe, dove ha potuto raccogliersi per 25 minuti da solo. Una Chiesa che aspira a raccogliere nel suo “grembo” materno, come ha manifestato ai vescovi messicani, i fedeli che accorrono alle sue cure, non può non affidarsi a sua volta al sostegno di Maria che in queste terre é amata anche per le sembianze meticce, simbolo della straordinaria confluenza di popoli e di radici che solo l’amore può mettere in relazione armoniosa.

 

Il Messico racchiude molte sfide. Paese emergente dalle grandi potenzialità, undicesima economia del pianeta, ricco di risorse naturali e culturali, ma anche emblema di quelle emergenze, disuguaglianze e contraddizioni che caratterizzano l’America latina: circa la metà dei 120 milioni di messicani vivono nella povertà o nella vulnerabilità sociale. Enormi ricchezze si accumulano insieme a una stridente miseria che caratterizza particolarmente la vita delle numerose etnie indigene. E spesso le ricchezze hanno una provenienza sospettosa: imperano i cartelli della droga in una guerra civile non dichiarata ma che negli ultimi 6-7 anni ha provocato non meno di 50mila assassinii e circa 28mila desaparecidos: ultimi i 42 studenti di Ayotzinapa, spariti nel nulla ma probabilmente massacrati da sicari del cartello locale in combutta con la polizia e con lo stesso Stato.

 

La giustizia lascia impuniti il 90 per cento dei delitti più gravi. Anzi, spesso giornalisti, sacerdoti, sindaci che osano levare la testa contro questi poteri micidiali sono zittiti e colpevolizzati anche dalle massime autorità locali, quali ad esempio i governatori. Negli ultimi dieci anni sono stati assassinati 80 reporters e 17 sono desarecidos. L’ultima vittima, una giornalista, mamma da appena 21 giorni, prelevata da un commando in casa sua e freddata poche ore dopo. La violenza raggiunge anche vari livelli politici. Durante le elezioni locali dello scorso anno almeno 23 candidati sono stati uccisi, senza contare altri delitti contro autorità nazionali, statali e municipali.

 

Nemmeno essere sacerdoti é facile: sempre negli ultimi dieci anni sono stati ammazzati 40 tra presbiteri e religiosi, mentre lo scorso anno le aggressioni anche a sagrestani, catechisti, seminaristi sono cresciute del 250 per cento.

 

Una spirale di violenza su cui Bergoglio ha invitato (o sferzato?) i pastori a non rifugiarsi dietro “condanne generiche”, esigendo invece “un coraggio profetico” per ricostruire pastoralmente il tessuto sociale. Tutti coraggiosi? No. Purtroppo non mancano i don Abbondio ed i mercanti della fede che a cambio di succose donazioni concedono dubbie assoluzioni ai don Rodrigo locali convinti che l’identità cattolica passa non per i valori morali ma per lo sfarzo dei luoghi di culto.

 

Bergoglio ha raccomandato espressamente ai vescovi di seguire con attenzione il dramma del fenomeno dei migranti che da sud a nord, provenienti da Guatemala, Honduras, El Salvador in modo speciale, attraversano il Messico per cercare di ottenere l’ingresso negli Stati Uniti; è oggi una vera e propria emergenza umanitaria negata dalle autorità costituite. Alle decine migliaia di migranti si aggiungono i messicani di vari stati, spinti a fuggire per la povertà e la violenza. Molti di questi sono minori che o sono obbligati a migrare o sono alla ricerca dei propri genitori emigrati in precedenza. Le vittime di questa emergenza sono incalcolabili.

 

Il Papa sta dunque visitando un Paese emblema delle tante frontiere del mondo da lui spesso segnalate come i luoghi preferenziali nei quali la Chiesa é oggi chiamata a farsi presente, luoghi dove alle eredità storiche si cumulano le circostanze del presente sulle quale siamo chiamati in causa.

 

Il Papa non si limita solo ad enumerare i mali, ma invita ad affrontarli secondo un metodo, unito ad un cambiamento di prospettiva perché  la Chiesa non é una milizia in lotta contro il male – una immagine forse cara a tanti – ma una madre capace di abbracciare l’umanità e le sue pene, di mettersi a fianco degli ultimi ed in loro difesa. Una madre che sa usare anche l’indignazione e la denuncia, come nel caso delle popolazione indigene espropriate anche della loro cultura millenaria di cui abbiamo oggi bisogno. La ”Vergine Morenita ci insegna che l’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini é la tenerezza di Dio”, ha ribadito Francesco ai vescovi, invitandoli alla “trasparenza” e a non usare gli stessi metodi dei “faraoni attuali” perché, parafrasando il libro dell’Esodo, “la nostra forza sta nella nube di fuoco non nei carri e nei cavalli”. La storia della salvezza parte sempre da una periferia del mondo ed è lì che si trovano le chiavi per rispondere ai mali globali.

 

Se il discorso del Papa ai messicani é comprensibile alla luce degli interventi realizzati nei suoi altri viaggi, ora numerosi, é altresì vero che la sua visione ecclesiale deve calare su tutta la Chiesa, pur partendo da situazioni particolari. Nel villaggio globale ci sono mali che affliggono tutti anche quando emergono in un determinato luogo. E ad essi il Papa invita a rispondere ma cambiando nella sostanza prima di tutto noi stessi. Fa eco alla sua logica quella di Agostino quando affermava:“Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi”.   

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