Benvenuto a casa!

Un signore ossuto e abbronzato, in maglietta e pantaloni neri, si mette alla mia destra. Mi sembra di riconoscere in lui...
aereoporto vienna

Degli amici slovacchi mi avevano chiesto di andarli a prendere all’aeroporto di Vienna, non lontano da Bratislava. L’affollata sala di attesa è colorata da tanti palloncini a forma di cuore con scritto in inglese “Benvenuto a casa!”. Anche i fiorai li vendono. E vedo che a comprarli non sono soltanto i bambini. Li comprano le ragazze, le nonne, i papà. Anche una suora ne ha uno.

 

Quei palloncini rendono festosa la sala anonima, appesantita da un brusio ininterrotto.

Un signore guarda le porte degli arrivi con due barboncini sotto le due braccia, sembra suggerisca loro come comportarsi. Arriva la donna attesa, il suo primo bacio è per i cagnolini, poi saluta velocemente l’uomo, mentre tira il suo valigione.

Un’anziana signora con un bastone, rifiuta con disprezzo, l’offerta che le fa una ragazza di appoggiarsi alla transenna.

 

Un signore ossuto e abbronzato, in maglietta e pantaloni neri, si fa spazio per vedere meglio l’ondata di viaggiatori e si mette alla mia destra. Mi sembra di riconoscere in lui un famoso discesista italiano. Senza riflettere gli chiedo se è il personaggio che penso.

 

Risponde in slovacco che non mi capisce – avevo parlato italiano – e quando, in slovacco, gli rifaccio la domanda risponde che non ha viaggiato molto. Vedo che gli mancano molti denti e, mentre si copre la bocca con la mano, scorgo che la nicotina ha abbondantemente imbrunito l’indice e il medio. Sta aspettando la figlia e la sua famigliola che vive a Londra. È contento di chiacchierare ma siamo con gli occhi alle due uscite.

 

Vediamo una coppia di focomelici e lui con la testa fa cenni di compassione mentre li segue con gli occhi. Poi, senza attendere risposte: “Perché la malasorte? Dicono che è stata una medicina. Chi ripara i danni? Quanta gente meriterebbe la forca!”. Da vicino i suoi capelli evidenziano una tintura recente.

Un ragazzone, dietro un carrello carico di valigie, intravista l’amica che lo attende, grida di gioia. Si abbracciano felici.

“L’amore, l’amore. Se durasse…! È una trappola”.

 

Mi chiede da dove vengo, perché la pronuncia del mio slovacco lo incuriosisce. Basta che dico Italia e lui comincia a parlare di calcio e calciatori. Quando gli comunico che sono nato in Sicilia, mi chiede se sono mafioso. Ridiamo insieme. Ho modo così di vedere due occhi arrossati ma belli, sfavillanti come quelli di un bambino. Mi dice che è rom e che si chiama Ivan.

 

I suoi occhi si oscurano quando dice che la gente non parla facilmente con gli zigani, sottolineando il disprezzo che mettono quando dicono “zingari”, sinonimo di gente di malaffare. Abbassando la voce mi dice che gli slovacchi, se potessero, li farebbero fuori. Un pregiudizio è indistruttibile.

Resto in silenzio, addolorato come lui, e mi viene in mente una frase di Einstein: “E’ più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”.

 

Ivan, afferrandomi un braccio, mi bisbiglia all’orecchio: “Noi siamo uniti, produciamo bambini come i conigli e le cose si mettono sempre più a nostro favore. Ridaremo a questi smidollati la saggezza del cuore!”.

Gli chiedo se nella famiglia che attende ci sono bambini. Mi dice che ce n’è una di sette anni. In fretta vado a comprare un palloncino. Lui ne è felice. Mi stringe ripetutamente la mano.

 

Guarda il palloncino che tiene tra le sue mani, prova se può sfuggirgli, guarda me, si gira verso le uscite, sorride da solo. I suoi occhi dicono molto. Finalmente arriva la famigliola. Corre da loro felice. Lo vedo parlare mentre indica me.

Una bellissima bambina mi viene a ringraziare e da lontano, con un elegante inchino, mi ringraziano la madre e il padre. Li saluto mentre “il discesista” continua a gesticolare, a sorridermi con la bocca sdentata.

 

Quel sorriso mi rimane addosso come un profumo prezioso e mi accorgo di colpo che la sala degli arrivi non è un luogo estraneo. Un palloncino tenuto da un bambino mi copre la vista. Leggo: “Benvenuto a casa!”.

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