Bella e perduta

Presentato al Festival di Locarno nel 2015, la pellicola di Pietro Marcello è in uscita in Italia dal 19 novembre. Un film insolito e bellissimo, magico e crudo, fatto di danza tra repertorio e finzione, tra realismo e poesia, tra amarezza e dolcezza. Una favola poetica e sociale che parte dalla martoriata Campania dove convivono disperazione e speranza
bella e perduta

Esiste un cinema spiazzante, irregolare, difficile, che a volte sa raccontare meglio di un cinema lineare, chiaro, addomesticato, omologato, industriale; che sa comunicare con più forza, emozionare maggiormente, perché più espressivo ed artisticamente più potente del film consueto, rassicurante, facile.

Quando questo cinema profondamente libero non è delirio personale, autocompiacimento dell’autore o mero esercizio di sperimentazione, ma al contrario è pieno di utile sostanza, allora questo cinema va difeso, comunicato, sponsorizzato. Va visto non solo perché potrebbe essere il cinema del futuro, dal momento che le bellissime serie tv si stanno sostituendo al cinema popolare, e quindi questi film “diversi” che cercano un nuovo linguaggio potrebbero rappresentare l’identità del cinema che verrà, la specificità di questo rispetto alle forme emergenti di audiovisivo;  ma anche, e soprattutto, perché già oggi questo cinema sa spesso afferrare meglio il nostro problematico presente rispetto al cinema classico, fatto “solo” di attori, scenografie, sceneggiature e luci: il cosiddetto cinema di “finzione”. Sono anni, ormai, che il documentario è uscito dal recinto del cinema minore ed è considerato di uguale dignità rispetto al cinema “normale”, ed è dal documentario che nasce quella nuova, preziosa, forma narrativa chiamata “cinema del reale” che elabora l’esistente per costruire storie che non hanno nulla da invidiare a quelle dei film canonici.

E’ un cinema di incontro e contaminazioni, di confine, in cui tanti materiali di diverso tipo collaborano in una fertile dialettica intermediale, dove finzione e realtà si mescolano in una creazione in cui possono entrare tante cose: voci narranti, immagini e parole d’archivio, poesie, brani letterari, interviste, canzoni, qualità visiva presa dalla pittura e dal cinema stesso, e ancora suoni, musica, attori, fotografie e molte altre cose. Bella e perduta, del casertano Pietro Marcello – presentato al Festival di Locarno nel 2015 e in uscita dal 19 Novembre – è tutto questo: è un film insolito e bellissimo, magico e crudo, fatto di danza tra repertorio e finzione, tra realismo e poesia, tra amarezza e dolcezza.

E’ un film incisivo, emozionante ed esemplare sull’Italia di oggi, è una favola poetica e sociale che parte dalla martoriata  e simbolica Campania per arrivare più lontano; è un’opera in cui convivono disperazione e speranza, in cui coabitano Anna Maria Ortese, Pulcinella, Gabriele D'Annunzio e Nino d'angelo, per citare solo qualche nome; è un viaggio che ricorda quello pasoliniano di Uccellacci e uccellini, che di pasoliniano ha certi attimi visivi: la stridente vicinanza tra spazi architettonici antichi, imponenti e bellissimi, ed altri nuovi, squallidi e dolorosamente simbolici dello sviluppo senza progresso da cui siamo circondati. Di pasoliniano ha soprattutto il rimpianto per una società più pura e umana di quella attuale, in cui la bellezza riusciva a convivere con la povertà e con la fatica, perché in entrambe c’era amore per l’essere umano: «Una volta era più bello, si faticava assieme, ora non ti puoi fidare di nessuno» testimonia con efficace semplicità un contadino rugoso che vive in un casale di campagna mezzo diroccato.

Bella e perduta è la nostra Italia, la nostra terra, la nostra cultura produttrice di tanta smarrita bellezza (il film inizia dalla reggia di Carditello: meravigliosa, distrutta e abbandonata), è il racconto di un presente che nega l’anima, dove non solo conta esclusivamente ciò che è merce, ma quella merce è usata in modo stolto, sprecata e lasciata diventare immondizia. La prima sequenza è la soggettiva di un bufalo: un’immagine potente che rapisce ed apre la storia di Sarchiapone, un cucciolo di bufalo maschio, abbandonato perché inutile, perché non dà latte e allora gli allevatori li gettano nei fossi e in mezzo al letame.

Pulcinella decide di non lasciarlo morire, di difendere l'umanità portandolo al sicuro, e in quel suo attraversare frammenti di un mondo ugualmente lacerato, scrive un inno alla vita, e ci fa accorgere di quanto il nostro Paese sia nonostante tutto salvabile: basterebbe che ci fermassimo, che per un po’ non facessimo nulla, che lo lasciassimo riprendersi da solo, o ancora meglio che rielaborassimo in chiave moderna la cultura precedente. Pietro Marcello, che già con il precedente La bocca del lupo – vincitore del Festival di Torino nel 2009 – aveva costruito qualcosa che era molto di più che una semplice somma tra documentario e finzione, tocca un tema doloroso senza alcuna retorica, perché la sua fiaba è piena verità, ed è credibile e toccante.

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