Beethoven, l’inventore della musica moderna

La sordità, l’orecchio interiore, l’amore per l’arte e la natura, gli amori, la fama, i valori spirituali. Il primo musicista moderno

«O voi, uomini che mi reputate o definite astioso, scontroso o addirittura misantropo, come mi fate torto! (…) Il mio cuore e il mio animo fin dall’infanzia erano inclini al delicato sentimento della benevolenza e sono sempre stato disposto a compiere azioni generose».

Inizia così la lettera del 1802, detta Testamento di Heiligenstadt, che è in qualche modo il “coming out” di Beethoven sulla sua paradossale condizione di vita e sull’ingravescente sordità, che fino ad allora aveva cercato di tenere nascosta.

Il genio rivela di soffrire di disturbi dell’udito da sei anni, cioè dal 1796 e di aver perso ormai la “cara speranza” di guarire, che fino ad allora lo aveva accompagnato.

Ora, secondo la datazione delle sue opere, solo i primi cinque numeri d’opera sono anteriori a quella data. Molti sostengono, per questo, che quasi tutta l’opera beethoveniana sia stata praticamente concepita nella sordità.

Tutto questo può essere stato possibile grazie alla rara dote del cosiddetto orecchio interiore, la capacità che solo pochissimi musicisti hanno, di scrivere senza l’uso di uno strumento musicale, di tradurre direttamente in partitura una musica che hanno in mente, senza bisogno di uno strumento: è nata proprio così la maggior parte dei grandi capolavori di Beethoven.

Il genio riferisce che il silenzio assoluto della sua sordità era abitato sempre da splendide musiche che lui puntualmente trascriveva.

Scrive di aver meditato sul suicidio, ma «mi sembrava impossibile abbandonare questo mondo prima di aver creato tutte quelle opere che sentivo l’imperioso bisogno di comporre; e così ho trascinato avanti questa misera esistenza».

Beethoven fu il primo musicista moderno, cioè borghese; il primo musicista espresso da quella nuova classe sociale da poco era nata con la rivoluzione francese: la borghesia. Nel mondo musicale Beethoven è la cerniera tra storia moderna e storia contemporanea.

La musica con lui, e comunque nella sua epoca, si scopre consapevole di una propria dignità “etica”: sa di non esistere più per il semplice sollazzo dei ricchi ma di essere veicolo di profondi, elevati, significati spirituali. Questo ha conferito, fino ad oggi, alla musica classica un carattere di diversità ed un presunto primato sulle altre musiche.

Solo l’amore per l’arte e per la natura sosteneva e motivava l’esistenza del musicista. Quanto alla prima, dare al mondo la musica, fu il dovere categorico, il primo impegno che Beethoven sentì nella propria vita.

Circa l’amore per la natura Teresa Von Brunswick amica di Beethoven scriveva che «la natura era la sua sola confidente». E Charles Neate, musicista inglese che frequentò Beethoven a Vienna nel 1815, scrive di non aver mai visto nessuno tanto innamorato dei fiori, delle nuvole, della natura da sembrare che fossero la sua stessa vita.

La mamma dello storico von Frimmel raccontava la sua rabbia, da fanciulla, verso Beethoven che agitando un fazzoletto faceva fuggire le farfalle che lei tentava di catturare. Beethoven scriveva: «Nessuno, sulla terra, può amare la campagna più di me…».

A Vienna faceva tutti i giorni il giro dei viali del ring; nei luoghi di villeggiatura passeggiava a lungo sotto il sole o la pioggia, per boschi e campi: «Onnipotente! Nei boschi io mi sento felice; sono felice, nei boschi dove ogni albero parla di te, Dio, che splendore! In queste foreste sulle colline vi è la calma per servirti!».

E nella sesta sinfonia, detta appunto “pastorale”, Beethoven riesce a rendere in musica questi sentimenti in modo clamoroso, inauditamente esplicito, quasi anticipando l’impressionismo, descrivendo il “risveglio dei sentimenti all’arrivo in campagna”, un’idilliaca “scena al ruscello” col cinguettio dell’usignolo, della quaglia e del cucù riprodotti rispettivamente dal flauto, dall’oboe e dal clarinetto e poi il suggestivo, quasi realistico temporale ed il ritorno del sereno.

Beethoven è sempre puro, inflessibile, categorico nei sentimenti e nelle azioni: Io è nella dedica della sua terza sinfonia “Eroica”. L’aveva scritta ispirato dagli epici sentimenti della rivoluzione francese, pensando al quasi suo coetaneo Napoleone Bonaparte come al frutto maturo della rivoluzione cui dedicare la sinfonia. Ma appena vede l’eroe puro cedere alle blandizie del potere facendosi incoronare imperatore, Beethoven non esita a cancellare con sdegno la dedica fino a bucare il frontespizio della partitura della sinfonia.

Ci sarebbe da parlare a lungo delle donne, dei tanti grandi profondi genuini amori di Beethoven che pur non approdarono mai ad un matrimonio. Le tre lettere all’anonima, “immortale amata” contengono frasi di una delicatezza e di una profondità che è raro trovare nelle lettere d’amore più note e celebrate in letteratura: «Oh Dio, così vicini! così lontani! Non è forse il nostro amore una creatura celeste e, per giunta, più incrollabile della volta del cielo?». Oppure: «Sii calma – amami – oggi – ieri – che desiderio struggente di te – te – te – vita mia – mio tutto – addio. – Oh continua ad amarmi – non giudicare mai male il cuore fedelissimo del tuo amato. Sempre tuo. Sempre mia. Sempre nostri – L.»

Era già famoso il primo febbraio 1819 quando, rivolgendosi alla municipalità di Vienna, Beethoven dichiarò: «Voglio dimostrare che chi agisce bene e nobilmente può, perciò solo, sopportare le sventure».

Potremmo concludere col racconto di Alfredo Casella, importante musicista italiano dei primi del novecento, interprete e studioso beethoveniano. In un paesino del Canavese, con alcuni amici, ragionava animatamente su Beethoven. Ad alcuni contadini che assistevano alla loro discussione Casella chiese se sapessero chi fosse il Beethoven di cui discutevano. «Perbacco – rispose uno di loro- non è quello che ha inventato la musica?»

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