Bangui, papa Francesco e il tempo del Vangelo

Con calma dovremmo leggere e rileggere le parole e i gesti di papa Francesco nel suo primo viaggio al cuore dell’Africa, a Bangui dove si vive e si è vissuto il tempo della guerra.

Il papa ha parlato di Bangui come capitale spirituale del mondo. Egli va alle periferie, per usare una sua formula consueta, ma non è retorica. Papa Francesco vive la convinzione che il Vangelo vada annunciato e incarnato nella storia dei poveri, delle vittime, degli abbandonati, degli scartati. È partendo da lì che il Vangelo di Gesù arriva sino agli estremi confini della terra.

Papa Francesco è sceso al centro dell’Africa, passando per Nairobi, dove c’è stato di recente un massacro di giovani, e per l’Uganda, che custodisce la memoria dei suoi martiri. Il papa ha voluto incontrare coloro che oggi sono i martiri della pace, coloro che chiama gli artigiani del perdono.

 

Un titolo di grande forza, che narra la sequela della pace come sequela crocifissa che spinge Gesù a dire dalla croce: «Padre perdona loro, perchè non sanno quello che fanno». E i discepoli sono chiamati a rendere attuale nella nostra storia il paradosso evangelico del perdono: perdonare con la propria vita ciò che è imperdonabile.

Ecco la vocazione cristiana in Paesi dove i conflitti interetnici, sociali e religiosi sembrano senza fine. Con semplicità, senza doppiezze e senza astuzie, papa Francesco non ha avuto timore di mettere in gioco la sua vita di discepolo del Signore, che ama i nemici fino a dare la sua vita per loro.

Molti hanno fatto pressione perchè questo viaggio non avvenisse, perché papa Francesco non arrivasse a Bangui, uno dei luoghi più tragici dell’Africa, dove la violenza ha sedotto molti,troppi cuori. Certo, alcuni suggerimenti di prudenza erano ragionevoli e comprensibili, ma papa Francesco non poteva sottrarsi alla sua testimonianza, alla sua martyria del Vangelo, senza attenuazioni, senza calcoli di prudenza e di difesa.

 

Egli ha chiesto ai cristiani di quella terra insanguinata dai conflitti di dare prova di saldezza, di fortezza e di perseveranza, come cento anni prima avevano fatto i martiri dell’Uganda. Per dire questo lo stesso papa Francesco doveva arrivare fin là, con la sua persona, con la sua vita, con la sua parola, senza tiepidezze e senza incertezze.

Egli ha chiesto ai cristiani di diventare gli artigiani del perdono e lo poteva fare solo a Bangui, in una città travagliata e violata da scontri e da conflitti. Lo chiamavano i bambini, i disabili, gli ospiti della casa dei rifugiati, le donne, tutti i feriti della vita.

La loro parola e la loro vita ha garantito il papa, lo ha protetto da tutti i pericoli e i rischi. Niente lo poteva sottrarre dall’incontro con il Vangelo della pace e con i poveri. Il papa ha reso visibile in tutti gli incontri, dalle chiese alle moschee, che niente poteva fermare la forza debole e inerme del Vangelo, che à più forte di ogni potenza mondana.

 

Parlando ai giovani di Bangui, papa Francesco ha ricordato la forza inerme e mite della preghiera, parola costante della sua predicazione. E poi ha immediatamente aggiunto: «Lavorare per la pace. La pace non è un documento che si firma e rimane. La pace si fa tutti i giorni! La pace è un lavoro artigianale, si fa con le mani, si fa con la propria vita. Ma qualcuno mi può dire: “Mi dica Padre, come posso fare io l’artigiano della pace? Primo non odiare mai. E se uno ti fa male, cerca di perdonare. Niente odio molto perdono! Lo diciamo insieme: niente odio e molto perdono. E se tu non hai odio nel cuore, se tu perdoni, sarai un vincitore. Perchè sarai vincitore della battaglia più difficile della vita, vincitore nell’amore. E attraverso l’amore viene la pace. Con l’amore e con il perdono voi sarete vincitori».

In una città segnata da conflitti durissimi il papa chiama a non odiare e a perdonare, perchè il perdono ha la forza di trasformare i cuori, anche i più induriti. Questo è il Vangelo di Gesu. Non una dottrina, che giustifica la guerra, ma il cuore del mistero di colui che ha fatto la pace tramite il sangue della croce.

 

Papa Francesco poteva portare il Vangelo a Bangui, solo in povertà e debolezza, senza scorte, così come ha fatto Gesù sulle vie della Galilea, della Samaria e della Giudea. C’è un rapporto tra questo viaggio nell’abisso del mondo e quello fatto da papa Francesco a  Betlemme e a Gerusalemme.

Il papa ha consegnato il vangelo, consegnando la sua vita, sapendo che tutto sta nelle mani del Signore e sapendo soprattutto che quando un fratello chiama bisogna andare secondo lo stile della fraternità di Gesù, e che quando un povero bussa, bisogna aprire secondo il giudizio finale del Vangelo di Matteo.

Nessun eroismo, ma semplicemente la gioia del Vangelo e la benedizione delle beatitudini. Papa Francesco ha detto, dopo la preghiera in Vaticano con Simon Peres e Abu Abbas, che aveva aperto la porta della preghiera. A Seoul egli parla della porta della riconciliazione.

 

In questo anno giubilare ha aperto a Bangui la porta della misericordia, ma forse potremmo dire meglio, a Bangui è stata aperta la porta del perdono. Gesù allora è la porta della misericordia, della preghiera, della riconciliazione e del perdono.

Ecco la forza trasformante del Vangelo, che cambia la storia, da Bangui alla spaventata e impaurita Europa, fino a coloro che si affidano ad un immenso potere militare, al mercato delle armi, agli arsenali ripieni in tante zone dell’Africa e del Medio Oriente.

I cristiani di Bangui e la loro Chiesa ci precedono sulla via del Vangelo, perché abbiamo paura dei poveri, perchè siamo tiepidi e ci vergogniamo di Gesù. Affidiamo la nostra vita alle armi e non alla tenerezza di colui che è ricco di misericordia, del Dio di Gesù Cristo, del Compassionevole. Il perdono è lo sguardo di Dio sulla nostra vita e storia,capace di spezzare il muro di inimicizia che divide il mondo.

Davvero i cristiani, grazie a papa Francesco, stanno entrando in un’ altra storia e in un altro giorno, di cui si colgono oggi solamente le prime luci.

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