Autostima

Il riconoscimento del proprio valore e la valutazione realistica dei propri limiti comporta  la capacità di prendersi cura di sé; la consapevolezza dei propri diritti e la fiducia nel proprio operato e nelle proprie competenze
Persone col sorriso

Cos’è l’autostima? “Un giudizio di valore su di sé”. È, questa, la più sintetica definizione del termine. L’autostima riguarda, innanzitutto, il riconoscimento del proprio valore e la valutazione realistica dei propri limiti; di seguito, la capacità di prendersi cura di sé; infine, la consapevolezza dei propri diritti e la fiducia nel proprio operato e nelle proprie competenze.

Una persona che gode di stima di sé ha alte probabilità di raggiungere un buon grado di benessere personale (sta bene con se stessa) e di costruire soddisfacenti relazioni sociali (sta bene con gli altri e questi stanno bene con lei). Inoltre, l’autostima favorisce il successo nella vita, nel significato che ciascuno di noi vorrà attribuire liberamente a questo termine, o, al contrario, prepara scenari di infelicità e di fallimento.

L’autostima è collegata, in fondo, con l’autonomia personale, perché se ci sentiamo svalutati siamo disposti ad assumere gli altri come modello, a prescindere da quanto tale riferimento sia sensato (si parla, in tal caso di “alienazione”, ovvero del diventare qualcosa di “alieno” o diverso da noi stessi). In tal modo, la nostra esperienza di vita diviene irrilevante, la dimostrazione di come non si dovrebbe essere. C’è un semplice test a cui possiamo sottoporci: chiediamoci chi vorremmo essere, se non fossimo noi stessi.

Le persone dotate di autostima vorrebbero essere coloro che sono, così come sono. Non si tratta di presunzione, perché tale valutazione implica l’accettazione dei propri difetti ma anche la considerazione che nessuno ne è privo. Le persone dotate di bassa autostima, invece, vorrebbero essere qualcun altro. Qui, il discorso si farebbe lungo e complesso, perché tutti hanno un qualche modello di riferimento a cui tendere, e nel desiderare di essere altro da noi gioca un ruolo fondamentale la cultura del successo come obiettivo materiale (possedere oggetti e denaro) e immateriale (essere visibili, essere famosi, avere potere), entrambi di discutibile spessore etico.

Desiderare di possedere i pregi di qualcun altro, quindi, non è censurabile se il modello che assumiamo è eccellente e se questa aspirazione è sostenuta dall’autonomia di giudizio e da un retroterra culturale “sano”. Lo è, invece, quando l’individuo è  disposto ad adottare un riferimento qualunque, anche di bassa qualità, perché il suo bisogno fondamentale è quello di salvarsi, di sopravvivere, non di crescere e di progredire. Si può osservare che le convinzioni che sostengono la percezione di noi stessi costituiscono uno schema complesso, che finisce per includere i concetti di assertività (capacità di affermare liberamente i propri sentimenti di fronte agli altri e di rappresentare i propri diritti, senza creare conflitti) e di autoefficacia (capacità di far accadere gli eventi desiderati).

Da dove origina il giudizio che una persona dà di se stessa? Innanzitutto, dall’esperienza precoce con le figure di attaccamento, in particolare con la madre: se quest’ultima favorisce un corretto attaccamento da parte del piccolo (non ansioso ma orientato all’esplorazione del mondo), questi acquisterà sicurezza e intraprendenza (“so cavarmela da solo perché sono bravo”). Poi, sono importanti i messaggi, verbali e non verbali, che i genitori inviano, spesso inconsapevolmente, ai figli: “non vali niente” e simili. Infine, completano il quadro il riconoscimento e l’omologazione sociale come conferma del nostro valore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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