Attentato a Nizza, si può perdonare l’imperdonabile?

Tendere una mano al nemico è ciò che fa sì che il cristianesimo sia il cristianesimo, che il vangelo sia il vangelo. Ma si può perdonare chi ha ucciso, come giovedì sera in Francia, più di ottanta persone? Un commento

Più di ottanta persone uccise sul lungomare di Nizza. Il fiume di morte s’ingrossa in queste settimane terribili, dall’attentato all’aeroporto di Istanbul al massacro di Dacca, alle stragi negli Stati Uniti, all’omicidio razzista in Italia, alla guerra in Siria e in Iraq. Con stragi senza misura, l’ultima con 225 uccisi e, infine, con lo schieramento delle forze Nato sul confine russo, quasi che in questo contesto tragico qualcuno pensi all’utilità di una guerra  tra la Nato e la Russia stessa. Certo sono situazioni molto diverse, ma tutte catturate dall’odio e dalla paura, quasi che fosse questa miscela la via per cambiare e salvare il mondo.

 

Terrore e terrorismo insieme sembrano spezzare la nostra resistenza alla paura e all’odio. Ci viene chiesta una resistenza quotidiana, ma ogni giorno la morte sembra prevalere sulla vita, l’odio sulla paura, la disperazione sulla speranza, la verità sulla menzogna. Lo percepiamo sulla nostra pelle.

 

E allora? Dobbiamo assistere inerti a un tir che si dirige sulla folla per schiacciare più persone e più bambini possibili? Dobbiamo entrare in questo tempo di vacanze, affidando alle armi le nostre vite, scoprendo tragicamente che basta un camion per uccidere quasi un centinaio di cittadini inermi?

 

Un senso di impotenza ci travolge quando guardiamo il mondo intorno a noi. Esso rivela un senso demoniaco, un segno dell’omicida fin dal principio, del padre della menzogna, del divisore (del diavolo). Dice il vangelo di Giovanni: “Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era l’omicida fin dal principio e non stava nella verità, perché in lui non c’è la verità”.

 

In queste ore è come se uno spirito demoniaco ci spingesse ad abbandonare il vangelo, inadeguato nel rispondere alla violenza, impotente di fronte alla violenza. Per sconfiggere la paura e il terrore meglio le armi, meglio gli eserciti, piuttosto che amare i nemici, che dare la vita per loro. La verità crocifissa viene abbandonata in nome della verità del potere che uccide.

 

A volte si pensa che il vangelo riguardi le anime belle, sempre pronte a liturgie raffinate e a meditazioni profondissime e non tocchi noi, anime dure, pronte a trafficare armi e a finanziare eserciti. Dunque il vangelo non ci sarebbe a Nizza, non direbbe nulla su Nizza, attento a non urtare nessuna suscettibilità e ad abitare nei confessionali, piuttosto che sui patiboli della storia.

 

Penso che questo sia un errore radicale, che annulla la nostra resistenza spirituale al male. Non dobbiamo adeguarci alla mondanità, alla logica del mondo, che opera con la sua forza di seduzione. Si pone su questo crinale l’appello alla conversione, a un rovesciamento di mentalità, che Gesù pone in modo solenne al cuore del vangelo. Ecco la parresia del perdono, parola detta per i carnefici sul patibolo, nel posto maledetto da Dio stesso.

 

Se il terrore è la misura del mondo, bisogna affidarsi ad azioni e gesti capaci di ricomporre, riconciliare, perdonare. Contro lo spirito di divisione, che frantuma ogni giorno l’intera umanità, cancellando i poveri e le vittime, che sono i veri maestri della predicazione del regno, dobbiamo vivere lo spirito di unità, che è lo spirito delle vittime e dei poveri.

 

Davanti all’omicida, davanti al demonio, siamo chiamati a non inginocchiarci, ma a testimoniare Gesù, l’Agnello immolato, il volto di misericordia di Dio. E a vivere lo spirito di unità attraverso segni di guarigione, di liberazione e di pace. Segni concreti, segni di vigilanza e di fortezza.

 

Ecco, per comprendere quanto accaduto giovedì sera a Nizza, bisogna leggere il cap.7 dell’Apocalisse: “Dopo queste cose vidi: ecco una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo  e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide … ecco quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole bianche nel sangue dell’ Agnello”.

 

Ecco le vittime, radunate dall’Agnello dai quattro angoli della terra, da tutti i popoli, tutte le nazioni e tutte le tribù della terra. Ecco l’universalismo delle vittime, alla sequela dell’Agnello divenuto pastore… Nessuno è dimenticato da colui che è avvolto in un mantello intriso di sangue e il cui nome è Verbo di Dio. Viviamo la grande tribolazione e in essa il sangue delle vittime parla il vangelo rivelato ai piccoli e non ai sapienti e intelligenti.

 

Non possiamo rinunciare, in ogni modo e in ogni caso, all’amore ai nemici, al dare la vita per essi, a perdonare tutti. Per questo siamo stati chiamati e siamo venuti, nella povertà e nella debolezza. Perdonare l’imperdonabile è ciò che fa sì che il cristianesimo sia il cristianesimo, che il vangelo sia il vangelo. Sul patibolo il messia della pace sale e consegna questa parola a tutte le vittime e a tutti i carnefici, non per negare la responsabilità di ciascuno, ma per accogliere tutti nello spazio della salvezza.

 

Perderemmo noi stessi e la nostra vita. Non dobbiamo temere di vivere come agnelli in mezzo ai lupi, nella mitezza e nella debolezza. È la via delle vittime e dei poveri e dunque è la via del futuro del mondo, del suo mistero di unità e di riconciliazione.

 

Nella notte della storia, nella notte di Nizza, le stelle in cielo sono le vittime, che come lampade illuminano il cammino della vita nostra e di tutti i popoli.

 

Nel giubileo della grande misericordia la conversione sta nel non vergognarci del vangelo, nel non metterlo tra parentesi, riconoscendo nelle vittime la parola del perdono, parola prima e ultima della nostra vita.

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