Attacco mortale in una chiesa di Bangui

Un giorno particolarmente sanguinoso nella capitale del Paese africano, il 1° maggio, quando un violento attacco armato ha causato la morte di un prete e di diversi fedeli, durante la celebrazione della messa

Gli assalitori hanno aperto il fuoco e hanno lanciato granate contro una chiesa situata tra un quartiere cristiano e un quartiere musulmano, chiamato PK5, nella capitale Bangui, mentre era in corso un’importante cerimonia. Il bilancio parla di 16 morti e di un centinaio di feriti. Il corpo di un sacerdote caduto è stato portato nel palazzo presidenziale da una folla che reclamava a gran voce la sicurezza nella capitale dell’Africa Centrale. La situazione in questo Paese continua in effetti a deteriorarsi.

La chiesa di Nostra Signora di Fatima ospitava martedì mattina la messa in onore di San Giuseppe. Vi avevano partecipato almeno 1.500 persone. Secondo i testimoni, «cinque uomini hanno scalato il muro che circonda la chiesa e sono entrati attraverso la parte posteriore. Erano armati di kalashnikov e hanno iniziato a sparare sui fedeli. Hanno lanciato due granate, una al centro della navata e una sull’altare dove hanno ucciso il prete, e tanti fratelli e sorelle». Diversi residenti di Bangui hanno cercato di aiutare i loro concittadini intrappolati nella chiesa, mentre gli aggressori si sono scontrati con la polizia.

Il corpo dell’abate Albert Tougoumalé, il prete ucciso, è stato poi spontaneamente portato in processione da un’enorme folla verso il palazzo presidenziale: purtroppo lungo la strada la folla di cristiani ha attaccato la moschea Lakounga, già più volte saccheggiata negli ultimi anni, soprattutto dopo un primo attacco alla chiesa della Madonna di Fatima nel 2014, e sono stati linciati due presunti musulmani. La chiesa di Fatima, costantemente protetta dalle forze della Minusca delle Nazioni Unite (Missione di stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana), si trova vicino al quartiere PK5 a maggioranza musulmana a Bangui. Dall’inizio della crisi, nel 2013, è in prima linea tra i gruppi armati pro e anti-musulmani della capitale dell’Africa centrale.

È tornata la calma nella capitale dell’Africa centrale. I veicoli circolano e la gente va in giro per le proprie attività a Bangui, anche se le stigmate della carneficina sono ancora visibili in alcuni quartieri. Nel distretto PK5 sono stati aperti alcuni negozi. Gli appelli alla calma si sono moltiplicati, così come le dichiarazioni dei responsabili religiosi contro i tentativi di strumentalizzare la religione per ricominciare il conflitto.

«Le persone non devono essere manipolate da chi opera contro la pace. Non passeranno», ha detto il presidente Faustin Archange Touadéra dopo un incontro con il card. Nzapalainga di ritorno da un viaggio in Europa. Ma si teme che il minuzioso lavoro di riconciliazione condotto per anni da uomini come l’abate Toungoumalé, ucciso martedì, venga messo in discussione. Appena un paio di giorni fa, i capi del Fronte popolare per il riconoscimento della Repubblica centrafricana (Prgf), e Abdoulaye Hissène Noureddine Adam, minacciano di attaccare e di rovesciare Bangui, come nel 2013.

I loro uomini, che già hanno occupato Kaga-Bandoro, 330 km a nord della capitale, hanno appena proposto agli altri gruppi ribelli del Nord di unirsi a loro per questa prossima offensiva.

La rivalità tra le comunità è esacerbata e gli scontri sono all’ordine del giorno. Il potere centrale di Bangui controlla solo una parte del suo territorio nazionale. Le bande armate che sfruttano i diamanti (una delle maggiori ricchezze della repubblica) condividono il resto del Paese. Le forze della Minusca, le forze armate e gli uomini di pace continuano la loro lotta per la stabilità, ma il loro compito è costellato di insidie. Oggi il paese è esangue, sull’orlo del disastro umanitario, e abbandonato ai suoi mali. Quando la comunità internazionale farà un appello per riportare la pace e ridare speranza a una popolazione esausta?

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