Astrologi e ingegneri

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Ramu è puntualissimo. Sono le 5 e un quarto quando suona il campanello dello Yoga Samaj di Coimbatore dove sono ospite da alcuni giorni. Comincia ad albeggiare e la luce cresce veloce nell`aria fresca della città del Sud India. Dopo una quindicina di chilometri il pulmino sul quale viaggiamo lascia la statale. La cornice è ormai quella dell’India rurale del Sud. Non siamo soli: decine di persone camminano sul bordo della strada. I sari sgargianti delle donne e le camicie e i lunghi immacolati degli uomini danno subito l’idea di un momento importante: una festa che conta. C’è poi un susseguirsi di auto che tradiscono la presenza di persone di un certo livello. Ci fermiamo su un vasto spiazzo: conto un centinaio di auto ed alcuni pulmini. Nel grande salone si affollano forse due mila persone: e la musica assordante è quella tipica dei matrimoni del sud India. Oggi si sposano Anandi e Ramaraj: entrambi ormai avviati verso i quaranta, cosa piuttosto inusitata in India fino a pochi anni fa. Lei apprezzata ginecologa e lui ingegnere informatico, come recita il copione dell’India potenza mondiale dell’industria Ict. La cerimonia delle nozze a questa ora della mattina è stata decisa dall’astrologo, debitamente consultato da entrambe le famiglie per assicurarsi che Anandi e Ramaraj siano compatibili come coppia. Sul palco un sacerdote brahmino recita in lingua tamil: la cerimonia è lunga, ma molto interessante. Ma ancora più avvincente è il commento che mi fa Ramiya, compagna di studi di Anandi, oggi pediatra affermata e madre di un bambino che scorrazza nel cancan della musica e del vociare della gente. La giovane madre, elegantissima nel sari rosso bordato d’oro, mi dice infatti che il sacerdote non sta celebrando le nozze, ma solo guidando il rito, spiegandone il significato alla coppia ed ai presenti. Chi, di fatto, si occupa della celebrazione appare verso la fine: è una donna scelta dalla comunità cui appartengono gli sposi. I Gounder, costituiscono, infatti, una sub-casta, un tipico gruppo sociale, o comunità, come si dice in India, di questa parte del Sud. Sono protagonisti di importanti cambiamenti nel panorama sociale indiano, fortemente marcato, da un lato, dalle grandi trasformazioni di cui è protagonista il Paese, oggi più che mai segnato da progresso inarrestabile, aperto alla globalizzazione e, dall’altro, impegnato nello sforzo di mantenere ed adattare tradizioni millenarie. È proprio grazie ai Gounder che quella che un tempo era una sonnolenta cittadina del sud, si sta avviando ad essere un centro produttivo di primo ordine in vari settori. L’emblema è Mahalingam: un industriale ultra ottantenne. È un nome che parla da solo qui ed in tutto lo stato dei tamil. Non si tratta, infatti, solo di una famiglia di magnati il cui gruppo industriale, lo Shakti Group of Companies, si è affermato in settori molto diversificati. Mahalingan significa anche progetti sociali, strutture educative con scuole e college prestigiosi ed addirittura ricerca nel campo della tradizione religiosa e culturale del Tamil Nadu. Ma se Mahalingam è la persona che offre l’immagine più significativa dell’evoluzione di questa comunità, un altro esempio, altrettanto emblematico, è costituto da Tiruppur. Fino ai primi anni Novanta era un grosso villaggio della zona, a 45 chilometri da Coimbatore: polvere, mucche e bufali, campi da coltivare, vita dura. Oggi è un centro nevralgico dell’industria tessile dello stato. Krishnaraj Vanavarayar, che ha sposato Karuna, figlia maggiore di Mahalingam, e ne ha guidato il settore tessile per molti anni, mi spiega in sintesi: Segui i taxi che partono dall’aeroporto all’arrivo dei voli. E vedrai che almeno un terzo al bivio con la statale gira a destra verso Tiruppur e gli altri vengono a Coimbatore. Sono soprattutto gli stranieri a dirigersi a Tiruppur. Arrivano da Italia, Germania e Francia: qui si producono grosse fette della produzione di jeans che si rivende poi a ben altri prezzi nelle boutique di questi Paesi, oltre a filati e tessuti, e vari tipi di confezioni. Nella cittadina si parla ora di costruire un quartiere fieristico, le aziende si sono modernizzate e ci si è, ormai, avviati a passare dalla conduzione familiare delle piccole imprese ad una specie di cooperativa con la costruzione di una zona industriale apposita. I protagonisti di questa svolta sono ancora i Gounder: tradizionali proprietari terrieri, capaci nei secoli di coniugare potere feudale e autorità morale, indiscussa nella zona, si sono trasformati in ottimi imprenditori. Hanno via via acquisito un’immagine completamente nuova, assicurando lo spostamento dell’asse portante dell’economia locale dal settore agricolo a quello industriale a condizione familiare o, comunque, di piccola e media industria tessile. Ma i Gounder e Tiruppur non sono che l’immagine, particolarmente fortunata ed efficace, di un grosso movimento sociale e culturale che sta avvenendo nel cuore dell’India. Recentemente, il nuovo governo dello Stato ha sancito con un atto legislativo, per altro già approvato in passato, ma mai reso operativo, che chiunque potrà ora officiare nei templi indù del sud India, purché debitamente preparato a svolgere tale mansione . La notizia ha fatto scalpore, ma la reazione della gente è rimasta enigmatica. In effetti, come diceva il quotidiano The Hindu, uno degli organi di stampa più seri ed autorevoli dell’intero Paese, la nuova legge pare essere rivoluzionaria. Significa, infatti, che operazioni, per millenni appannaggio e diritto inalienabile ed esclusivo della casta brahminica, possono ora essere espletate da persone di diverse caste, alcune delle quali considerate, ancora oggi, impure. Già da tempo si sono messi in moto meccanismi di rinnovamento, che mantengono, da un lato, le radici e, dall’altro, riconoscono che i tempi cambiano. Lo dimostra al matrimonio di Anandi e Ramaraj la presenza del sacerdote: sia pure non officiante, il brahmino assicura il rapporto diretto con la tradizione. È lui, infatti, a spiegare agli sposi e ai loro parenti ed amici il significato delle varie elaborate operazioni che avvengono nelle due ore della funzione. Cambia il ruolo rituale, ma resta il compito di canale culturale con la tradizione millenaria. Il grosso problema che molti paventano è legato ai dalit, fuori casta, che ora, strettamente parlando possono a termini di legge diventare sacerdoti. Se la sentiranno brahmini comuni o persone di altre caste di recarsi in templi dove officiano fuori casta? Potrebbero essere loro a mediare fra uomini e divinità, il ruolo del sacerdote, e a celebrare i riti purificatori, che un giorno erano necessari per coloro che li incontravano per strada. Fino al 1939 i dalit, o come Gandhi li chiamò, harijans, figli di Dio, non potevano entrare nei templi, soprattutto nel sud India. Gandhi stesso visitò il grande tempio di Meenakshi a Madurai, una delle bellezze dell’India, solo al quarto tentativo. Nelle precedenti occasioni, sapendo che i fuori cas- ta non vi erano ammessi, si era fermato fuori dal recinto sacro. Se non c’è posto per loro, non c’è posto nemmeno per me, aveva commentato il Mahatma. Ma ancora prima di presiedere alle funzioni sacre, persone di altre caste, saranno ammesse nei gurukulam, i seminari dove viene impartita la preparazione necessaria per diventare purohita? Nei pressi di Trichy, lungo le anse del fiume Cauvery, esiste uno di questi centri, affondato nel verde di una zona dove, mi diceva un amico del posto, nessuno che non sia brahmino può trovare casa. Sono interrogativi fondamentali nella socialità di questo Paese, soprattutto se si pensa che persone di caste basse non erano ammesse al contatto con gli antichi testi sacri dell’induismo e non potevano imparare e parlare sanscrito, pena la contaminazione della purezza assoluta di entrambi: testi e lingua. L’India, capitale mondiale del software, la cui economia, insieme a quella della Cina, spaventa ormai il mondo occidentale, si trova quindi a dover coniugare l’informatica alla tradizione, le decisioni prese dall’astrologo e i matrimoni officiati da possibili fuori casta, la sacrale purezza dei testi millenari con la necessità di adeguarsi alle leggi, apparentemente inarrestabili, della globalizzazione di cui il Paese asiatico è diventato protagonista assoluto ed indiscusso. Contraddizioni apparentemente inconciliabili per l’occidente e, senza dubbio, nuove sfide per l’India stessa. La sua tradizione millenaria è però avvezza a meccanismi d’adattabilità, insiti nella natura del pensiero e nei geni della gente. Ne è prova un breve dialogo con Anandi che incontro, per caso, quattro giorni dopo il matrimonio all’aeroporto di Coimbatore. Mi riconosce, mentre sono in coda al banco accettazione, e mi viene incontro salutandomi calorosamente, incurante del fatto che, ora sposata, lo potrebbe fare solo col marito e, sempre un passo dietro a lui. Lei e Ramaraj non faranno per ora il viaggio di nozze. Mi spiega il perché. Ha alcune giovani signore prossime alla maternità. Conosce bene queste persone e sa che alcune famiglie desiderano che i figli nascano in giorni e ore di buon auspicio. Gli astrologi hanno comunicato quando il lieto evento deve avvenire. Sarà compito di Anandi assicurarsi che tutto vada bene. Non si può andare contro il desiderio di queste famiglie. Qui sappiamo tutti che queste tradizioni sono molto importanti. Io devo assicurarmi che nulla succeda alla giovane madre e fare in modo che il bambino nasca secondo il desiderio degli astrologi. Chiamano il volo, devo affrettarmi. Lascio Anandi, vestita ancora con l’eleganza che solo le spose novelle possono e devono ostentare in India. Una volta a bordo mi guardo attorno: stranieri che arrivano da Tiruppur la capitale dei jeans, facoltosi industriali che tornano a Mumbai dopo un giro d’affari, gente normale, che forse qualche anno fa non avrebbe potuto permettersi di volare fino a Mumbai. Ci sono anche tante famiglie con bambini che mangiano le patatine e bevono coca-cola in tono con la cultura globalizzante e che, forse, sono nati secondo le istruzioni dell’astrologo. E, chissà, forse fra qualche anno tutti andranno al tempio dove non ci sarà più un brahmino, ma un uomo di altra casta, come la donna che ha celebrato il matrimonio di Ananandi e di Ramaraj in questa India millenaria che si trasforma e che, pure, resta sempre la stessa.

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