Antonio un uomo libero

“Una vita libera da schemi: niente orari, obblighi, sacrifici (tutti impedimenti, mi sembrava, ad essere me stesso). E poi uno stipendio per rendermi indipendente e procurarmi tutto ciò che desideravo. Ecco le mie mete di diciassettenne. Così, interruppi gli studi e cominciai a lavorare come garzone in un negozio. Furono quelli gli anni delle discoteche, dei bar, delle ore piccole, dei legami sentimentali saltuari; di quanto, insomma, potesse risultare “nuovo”, “trasgressivo”, “rischioso””. Padovano di nascita ma ora residente a Brescia, giunto a 38 anni Antonio ripercorre per me il suo itinerario di vita, cominciando da quel periodo cruciale, appunto, denso di esperienze forti, discutibili anche, ma in cui non è difficile riconoscere una ricerca di assoluto. Del resto proviene da una famiglia con profonde radici cristiane, e certe cose lasciano il segno. “Una notte – prosegue Antonio – sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, con un mio amico fui coinvolto in un grave incidente stradale. Per fortuna me la cavai con lo spostamento di alcune vertebre, ma dovetti restare immobile per quasi mezz’anno. Insofferente com’ero, costretto a letto per tutti quei mesi, mi sentivo come un leone in gabbia. E con una gran voglia di buttarmi di nuovo nelle mie avventure. Infatti, una volta ristabilito, più scatenato che mai cominciai a girare tutta Europa: Germania, Danimarca, Olanda, Francia e altri paesi ancora…”. Viaggi in autostop, da solo o in compagnia. Sacco a pelo, birra e spinelli. Strimpellate di chitarra al chiar di luna. E qualche furtarello quando di soldi c’è carenza. A vent’anni Antonio non si pone il problema di cosa fare della propria vita, convinto che la vita sia proprio questa che lui conduce “da uomo libero”. “Già, ero arcisicuro che dovunque mi fossi inserito sarebbe risultata una struttura soffocante. Comunque, stimolato da mio fratello maggiore, che aveva capacità artistiche, mi iscrissi a una scuola d’arte: non ero stato sempre interessato a tutto ciò ch’è creativo? “. Un passo indietro. Già durante la sua convalescenza, tramite una zia “piccola sorella della Sacra Famiglia”, il giovane ha avuto alcuni contatti con il Focolare, a Padova: “Erano persone che, di primo acchito, giudicai quanto meno “originali”: il loro riferimento era il vangelo, parlavano di comunione di beni… Beh, non so come, ma cominciai a essere di casa da loro. Mi ci trovavo bene, ogni volta ne uscivo più leggero e sereno. Vacci a capire, però! Avevano rinunciato a tutto e sembravano più liberi di me”. Solo col tempo si renderà conto che il vangelo è soprattutto vita, una vita che riempie di gioia senza confronti; che aiutandosi con altri è più facile uscire dal proprio egoismo, interessarsi al prossimo, amare insomma. Nell’amore, poi, è Dio stesso che si manifesta… “Proprio così: dovetti convincermi che lui esisteva veramente e non era così lontano come sempre avevo pensato, ma lì, presente in mezzo a noi, perché ci si amava. Fu una scoperta sconvolgente, una commozione unica. Ma allora tutto in me doveva cambiare; la libertà cui tanto tenevo, d’ora in poi, si sarebbe realizzata nell’amare Dio e il prossimo”. Veramente è un altro Antonio quello che, a casa, si riappacifica con i famigliari e cerca di essere loro più vicino, disponibile. “I miei non capivano cosa mi stesse accadendo; anzi erano certi che di lì a poco sarei tornato quello di prima”. Ogni occasione è buona per cercare nella trama di ogni giorno il filo d’oro del vangelo, nella certezza che nulla avviene a caso. “Un giorno – ricorda -, mentre scorrazzavo in moto, m’imbattei in un gruppo di nomadi rimasti a secco di benzina. Era gente che prima detestavo; era impensabile avere a che fare con loro. Ma ora? Finì che gli offrii benzina sufficiente a raggiungere un distributore. Primo episodio di una serie che cambiò radicalmente il mio modo di agire. Fu come uscire da un buco oscuro alla luce del sole”. Nuovo è anche il rapporto col fratello, che ha i suoi guai dai quali non riesce a districarsi: “Era appena uscito da un tentativo infruttuoso di disintossicarsi e continuava a frequentare certi giri malsani. Venendo anch’io dall’esperienza della droga, mi era più facile capirlo. “Cercai di stargli vicino, di lasciargli tutta la libertà possibile, ma anche di farlo partecipe, non tanto a parole quanto con i fatti, di ciò che avevo scoperto. Non fu impresa facile. A volte, lui reagiva prendendomi in giro, anche in presenza di amici. Ma il ricominciare sempre, col sostegno del focolare, mi dava coraggio. Finché, forse scorgendo in me una certa coerenza, cominciò a chiedermi il perché del mio comportamento. Così, pian piano riuscii a comunicare anche a lui la scoperta fatta. Ed oggi? Oggi siamo in due a impegnarci in questo ideale evangelico dell’unità”. Fra queste vicende, sia pure ad intervalli, Antonio continua come può la sua ricerca artistica. “Era importante per me, perché ho sempre considerato la pittura una vocazione prima che un mestiere”. E, come tutte le vocazioni, da mettere alla prova. “Nei miei sei anni di permanenza a Udine, ad esempio, dovendo guadagnarmi di che vivere, ebbi altro da fare: dal rappresentante, all’operaio, al facchino… fino all’odontotecnico! L’arte la persi e durante tutto quel periodo non toccai più un pennello; poi intervennero altre circostanze che mi permisero riprendere in mano questo mio talento per metterlo a frutto. “Mi trasferii così in Sicilia dove frequentai un corso accademico di pittura; e subito dopo a Firenze. Lì, lavorando presso il Centro La Pira per studenti stranieri, avevo anche tutto il tempo che volevo per dipingere. Dopo un po’ iniziai ad esporre e a partecipare ad alcune mostre per farmi conoscere. Un’esperienza molto costruttiva in questo ambito fu il rapporto profondo, nella verità, instaurato con alcuni critici d’arte non credenti con i quali, dopo anni, è stato possibile affrontare anche argomenti relativi alla religione. “Ormai dipingere è il mio mestiere. Avverto che la mia strada dietro a Cristo è quella della Bellezza, da comunicare agli altri così come riesco. Una strada sicuramente non agevole, fatta di sacrificio, ma anche di squarci di pienezza capaci di ripagarti in sovrabbondanza “. Un mondo di colori e di forme: Antonio Salmaso inizia l’attività artistica dedicandosi, oltre che alla pittura, alla scenografia e al recupero artistico di materiale povero, per poi estendere la sua attenzione anche alla ricerca fotografica. Sviluppa inoltre l’interesse per la pittura applicata ad elementi architettonici e, in seguito, per lo studio della natura e della sua evoluzione. Il rapporto fra osservazione analitica del mondo e la sua intuizione fantastica, spirituale, lo induce alla scomposizione delle forme visibili nelle loro componenti primarie: il mondo degli elementi archetipi (aria, acqua, terra) si presenta come immagine della materia e degli organismi visti al microscopio. La materia diventa magma, un grande affresco su cui navigano filamenti colorati, zone opache, dense, raggrumate e zone liquide, trasparenti, cellule di forme differenti, che dentro un contorno ben definito rivelano un mondo pullulante di colori e di forme astratte. Se guardiamo le foto scientifiche del cosmo o del microcosmo, cioè degli organismi della natura, esse sembrano immagini della fantasia: ecco come le due componenti – analisi del mondo e sua intuizione spirituale – si saldano. Nell’ultimo periodo le sue opere volgono verso la rappresentazione della figura umana.

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