Anna non ci sta

Questo è il mio paese, fiction proposta in prima serata da Rai Uno, è una storia di donne (e uomini) del sud di fronte all’illegalità. Il regista ci fa assaporare con delicatezza i colori dei sentimenti che stanno dietro ogni scelta piccola o grande
Questo è il mio paese

È la storia delicata di una donna, Anna, che si trova a ritornare con la sua famiglia – marito e 3 figli – al paese di origine, nel profondo Sud dell’Italia, da cui anni prima, al tempo dell'università, era quasi fuggita. Lì l'attende un serrato confronto con il passato e allo stesso tempo con il futuro.

 

In un dialogo continuo tra i ricordi della sua giovinezza e le sfide del presente, la figura della protagonista di questa storia “normale” è costruita quadro dopo quadro grazie a una ricca trama di rapporti altrettanto normali. L’amicizia intensa con le inseparabili compagne di scuola di un tempo, il faccia a faccia con il suo primo amore, l’incontro difficile con la sorella, tutti rapporti che entrano con forza nella sua famiglia e la rimettono in discussione su tanti fronti.

 

Una donna normale, senza alcuna velleità di eroismo, che a poco a poco dà voce a quello che potremmo dire il vero protagonista di questo film, il coraggio. Lei lo scopre in sé a poco a poco, nel fronteggiare una dopo l’altra le sfide poste dalla comunità di cui è sindaco. Sfide a volte ordinarie, tante altre volte invece imposte da un’illegalità diffusa che a volte si scambia per normalità e che ci fa abituare ad abbassare la testa alla logica del più forte.

 

Anna non ci sta, e questa sua scelta sfida non solo chi sta dalla parte dei cattivi, ma anche la gente comune, fin dentro casa sua. Il suo coraggio sfida i figli, il marito e li porta su un percorso fatto di domande scomode, tante volte gridate a voce alta quasi come pietre lanciate, che scuotono la tranquillità di ciascuno e chiedono a tutti – anche agli spettatori – di mettersi in gioco.

 

Ma il coraggio non è solo quello di Anna. C’è Emilia che lotta con una malattia inguaribile, Gina, carabiniere della squadra speciale, che nel lavoro cerca la giustizia e a poco a poco mette da parte la rabbia e con coraggio ritrova sé stessa, il troppo giovane Cosimo che non lo trova il coraggio di seguire sua madre nel dire no alla logica della mafia, e così tanti altri.

 

Il regista, con un abile gioco di movimenti e silenzi – quasi perdendo tempo con la telecamera di fronte a una scena – riesce a farci entrare sotto la superficie di un gesto, di una parola, di un’azione. Riesce a farci assaporare con delicatezza i colori dei sentimenti che stanno dietro una scelta piccola o grande. Ci fa guardare dritto negli occhi le contraddizioni che ciascuno di noi vive a tutte le età: la malattia, la morte, il tradimento, la delusione, e ci dà il tempo di riflettere su di esse. Non dà risposte, ma provoca piuttosto domande e riflessioni.

 

Questo film racconta una storia di donne e uomini immersi in un Sud tanto inventato quanto profondamente reale. Una storia soprattutto di donne che ci fanno dire con le parole di Quasimodo: “Il mio paese è l’Italia, … e io canto il suo popolo, … il limpido lutto delle madri, canto la sua vita”.

 

Una storia che non ha bisogno del lieto fine, né di una morale per convincerci che di fronte all’illegalità solo il “noi” può aprire alla speranza, solo il “noi” può darci la forza di alzare la testa. vivere senza compromessi.

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