Andar per chiese con Filippo

Il pellegrinaggio più famoso di Roma, nato nel 1500 dal genio di san Filippo Neri, ha ricevuto un nuovo impulso ai nostri giorni grazie all’impegno dei suoi figli spirituali

«Annà pe’ le sette chiese» è un modo di dire popolare a Roma, che sta a indicare un percorso lungo e a volte anche ozioso. In realtà all’origine di questo detto c’è un’esperienza di forte impatto spirituale: il pellegrinaggio col quale san Filippo Neri riprese, adattandola e rivitalizzandola, una tradizione iniziata nel 1300 all’epoca del grande Giubileo, che prevedeva la visita a piedi, in un giorno solo, ai principali luoghi di culto della Città Eterna.

Profondo conoscitore dell’animo umano, questo estroso fiorentino d’indole allegra divenuto prete a 36 anni era ben consapevole che occorre cura costante per alimentare la vita di fede del cristiano e che il sostegno che può offrire un cammino comunitario ed ecclesiale, condotto in maniera gioiosa, vale più di ogni elaborata predica.

Da questa intuizione nacque la sua opera più geniale: l’Oratorio, un luogo d’incontro quotidiano nel quale era possibile approfondire temi spirituali e condividere “alla buona” commenti ed impressioni. A queste riunioni familiari, allietate anche dal canto e dalla musica, accorrevano – manco a dirlo – frotte di ragazzi e di giovani, attratti dal suo metodo educativo così lontano da quelli coercitivi in auge all’epoca.

Per variare, la domenica o nei giorni di festa Filippo amava visitare, in compagnia, ammalati e chiese dove ricorrere all’aiuto degli “amici” santi. Le soste in giardini privati o di case religiose comprendevano merende e giochi conditi dal suo spiccato humour. Col crescere del numero di partecipanti, il giovane prete pensò di dedicare a queste passeggiate un giorno fisso dell’anno, il giovedì grasso, per offrire soprattutto ai suoi giovani un’alternativa cristiana al trasgressivo Carnevale romano.

Così, da un’esigenza spontanea, nacque il pellegrinaggio più famoso di Roma: il giro o la visita alle Sette Chiese. Sette come le sette effusioni del sangue di Cristo, le sette parole di lui in croce, i sette vizi capitali, i sette doni dello Spirito Santo, i sette sacramenti, le sette opere di misericordia, le sette Chiese dell’Apocalisse… Sette, un numero che indica pienezza, dal profondo significato simbolico e religioso.

Il primo di questi appuntamenti prese forma il 25 febbraio 1552. E via via diventò pratica stabile e organizzata. Il percorso, lungo circa venti chilometri, era diviso in due giornate. Si partiva la sera del mercoledì dalla chiesa di San Girolamo della Carità, presso cui Filippo dimorava all’epoca, e attraversato ponte Sant’Angelo si andava a far visita ai malati dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia. Da lì il corteo proseguiva per la basilica di San Pietro. La mattina seguente, giovedì grasso, l’appuntamento era alla basilica di San Paolo fuori le Mura; da lì, percorrendo la via che ancora oggi s’intitola alle “Sette Chiese”, si raggiungevano le catacombe di San Sebastiano, luogo a cui Filippo era particolarmente legato, per partecipare alla messa nella chiesa superiore. Ripresa la marcia e attraversate le mura Aureliane (qui le guardie di porta San Sebastiano non mancavano di augurare «Buona camminata, padre Filippo!»), si faceva una sosta ricreativa nel giardino Mattei sul Celio (l’attuale Villa Celimontana) dove il generoso proprietario offriva ai pellegrini una refezione con l’accompagnamento di musici.

Tappe successive erano la Scala Santa, le basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme e, uscendo da Porta Maggiore, San Lorenzo fuori le Mura. L’ultima visita, ormai al tramonto, era alla basilica di Santa Maria Maggiore: qui, prima di separarsi, tutti intonavano la “Salve Regina” davanti all’icona della Salus Populi Romani.

Durante il lungo tragitto le pause meditative erano intervallate da preghiere e canti, fra cui non poteva mancare la lauda dello stesso Filippo, che inizia con la strofa: «Se vivessi mille anni/ nella gioia e senza affanni,/alla morte che sarà?/ Ogni cosa è vanità». A questa stessa lauda, detto per inciso, si ispirò Angelo Branduardi per il film di Luigi Magni del 1983 State buoni se potete, dove il santo è interpretato da uno straordinario Johnny Dorelli.

Tale fu il successo di questa pratica collettiva, nella quale era coinvolta gente del popolo e dell’aristocrazia, che nel giro di qualche anno da poche decine di partecipanti si arrivò, sotto il pontificato di Pio IV (1560-1565) a circa 6000. Col tempo il numero delle tappe cambiò da sette a nove, per poi ridursi a quattro (le quattro basiliche patriarcali).

Non fu l’unica realizzazione di questo consigliere di papi, cardinali e personaggi illustri, ma anche di persone comuni e di poveri, nemico di ogni genere di onori: dopo aver creato nel 1550 la Confraternita dei Pellegrini per dare assistenza a quanti affluivano a Roma per il Giubileo, lui che non aveva mai pensato di dar vita ad una famiglia religiosa si trovò ad essere fondatore della Congregazione dell’Oratorio, una compagnia di sacerdoti secolari che nel 1575 ottenne l’approvazione papale e l’uso di una propria casa e una propria chiesa: Santa Maria in Vallicella o Chiesa Nuova.

Con l’Oratorio, la Congregazione e il giro delle Sette Chiese quest’uomo che ha dato un’impronta ad un’epoca e ad una città realizzava appieno, forse senza esserselo neppure proposto, le istanze della Controriforma finalizzate al rinnovamento spirituale del clero e del popolo cristiano. Ma questo è tipico dei santi, uomini e donne di Dio che, invece di cercare l‘adempimento della propria volontà, seguono la voce dello Spirito.

Del pellegrinaggio filippino resta da dire che, dopo un periodo di decadenza iniziato nell’Ottocento, ha conosciuto una nuova fioritura in tempi più recenti, grazie all’impegno dei sacerdoti della Congregazione. Oggi ha luogo due volte l’anno, a maggio e a settembre, ma di notte per favorire il raccoglimento (non sarebbe possibile in una Roma col traffico attuale), con catechesi in ogni tappa e conclusione nel santuario mariano del Divino Amore, così caro al popolo romano.

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