Ancora segno di pace?

Un’aria di famiglia, indiscutibilmente, o piuttosto di amicizia. È questo lo spirito di Assisi, da vent’anni in qua, da quando un papa polacco ormai avvezzo all’improvvisazione che spiazzava tutto e tutti, s’avviava ad essere il pontefice dei segni profetici, quelli che lasciano una traccia, che magari anticipano la storia – spesso di parecchi lustri – ma dai quali non si può tornare indiedi tro se non a costo di pesanti conseguenze. Wojtyla, dunque, tutti lo sanno, il 27 ottobre 1986, invitò ad Assisi, sulla tomba del santo che più simboleggia la fraternità universale, esponenti delle più grandi religioni mondiali, oltre ai rappresentanti delle maggiori Chiese cristiane, con lo scopo di pregare per la pace. Non tutti in Vaticano erano d’accordo con questo gesto, giustificati da motivi comprensibili – il timore di sincretismi e irenismi e relativismi, cioè della confusione che schiaccia le identità e non conduce da nessuna parte -; ma il papa della globalizzazione non poteva assistere inerme alle continue chiamate in correo delle religioni nelle faccende belliche. Non è certo la religione che provoca le guerre, ma la perversa lettura e il cattivo uso che gli uomini ne fanno, gridava Giovanni Paolo II. E forse, nella sua proverbiale preveggenza, intuiva sì il crollo del muro di Berlino, con la sua massiccia dose di speranza, ma evocava pure la tensione tra Occidente e Islam, l’incognita delle enormi masse asiatiche non cristiane, la prospettiva di nazionalismi alla mercè delle frange più populiste se non terroriste. Ed ecco quindi la profezia di Assisi. Si diceva pure – ipotesi giornalistiche costruite su un pensiero senza tentennamenti come quello del card. Ratzinger – che Benedetto XVI avrebbe sconfessato il suo predecessore in materia di incontro tra fedeli di diverse religioni e di dialogo interreligioso. Ora il papa ha parlato, inviando al vescovo di Assisi un insolitamente lungo messaggio (otto pagine vaticane), che si dice scritto di suo pugno (lo stile e il rigore ci sono tutti), in cui fa il punto su questo importantissimo dialogo della Chiesa cattolica (vedi box). Certo, come ha scritto un vaticanista solitamente non tenero nei suoi confronti, il papa ha messo dei paletti al dialogo interreligioso della Chiesa cattolica, ma nella linea retta tracciata dal suo predecessore. Dialogo sì, allora, ma nella chiarezza delle posizioni, afferma in sostanza nel suo messaggio. Preghiera per la pace sì, allora, ma non in presunte cappelle interreligiose, tutti insieme appassionatamente… La chiarezza – spiega papa Ratzinger – è valorizzazione delle peculiarità, non allontanamento dalla verità nel compromesso che annulla le diversità. Commenta Andrea Riccardi: Non è un messaggio augurale, ma un testo pensato, in cui il papa rilancia il dialogo nello scenario attuale: tale spirito di Assisi non è sincretismo, ma vivere insieme. È il pensiero di un teologo-papa, assai preoccupato dell’avvenire del mondo. Questo, dunque, il quadro nel quale si inserisce il senso universale di amicizia e di famiglia che si respira ad Assisi nel grande appuntamento annuale della Comunità di Sant’Egidio in memoria, appunto dell’ottobre 1986. L’iconografia è ormai conosciuta – qui come nei sempre più frequenti incontri tra fedeli di religioni diverse -: dai monaci buddhisti dai coloratissimi mantelli ai metropoliti ortodossi dai copricapo dalle fogge più originali, dagli swami a piedi nudi alle porpore cardinalizie… Dopo Assisi 1986, le riunioni di Sant’Egidio appunto, ma anche quelle dei Focolari, gli incontri della Conferenza mondiale delle religioni per la pace e quelli dei Patriarcati di Costantinopoli e di Mosca, senza dimenticare l’attività dei buddhisti tendai del Monte Hiei – per non citarne che alcuni, forse i più noti – hanno reso familiari le immagini della vicinanza e dell’amicizia tra questi rappresentanti religiosi, mostrando anche visivamente che le religioni vogliono la pace. Qualcuno annota pure i nomi di questi rappresentanti, e maliziosamente suggerisce come nei decenni sia andata formandosi una sorta di nuova categoria itinerante dei professionisti del dialogo, imam, swami, rabbi e preti che passerebbero da una conferenza all’altra dicendo sempre le stesse banalità da volemose bbene. Sia. Ma questa congerie di globetrotter della fede mostra realtà realmente dialoganti, quelle che appaiono invece negli incontri locali, nella vita normale delle diocesi e dei patriarcati, del mondo musulmano e degli ambienti rabbinici. Chi gira il mondo per motivi professionali sa che questa del dialogo della vita, dell’amore viene da dire, è una realtà ormai assestata e assodata, indiscutibile. Non si potrà più tornare indietro, anche perché la globalizzazione mediatica sparge semi di odio a piene mani, ma non può nemmeno fare a meno di spargere – seppur con minore abbondanza – semi di riconciliazione, di pace, di perdono. La cronaca dell’incontro di Assisi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio potrebbe essere fatta rapidamente a cominciare da qualche numero: un centinaio di autorevolissimi oratori appartenenti a tutte le più grandi religioni mondiali, di più di venti paesi, di una dozzina di Chiese cristiane, di una decina di tradizioni buddhiste, 175 giornalisti accreditati… Numeri, che ovviamente non possono rendere conto della intensità e della qualità degli interventi. Si potrebbe evocare allora la presenza dei laici, di chi cioè non ha una fede propriamente religiosa. Nel primissimo gruppo di oratori al Sacro convento, il ministro Giuliano Amato e il priore Enzo Bianchi di Bose, Arrigo Levi e Vincenzo Paglia moderati nientemeno che dal card. Poupard in persona, hanno messo in chiaro, da subito, che la vera religione non esclude, ma include, sempre e comunque (vedi box). Oppure si potrebbe discorrere della varietà dei sedici diversi gruppi di oratori, che hanno spaziato dalla più semplice esigenza di spiritualità delle religioni del mondo all’esigenza di solidarietà e carità – dialogo della vita – per introdursi in un dialogo serio e fattivo. Senza dimenticare l’oggi drammatico (il Libano, ad esempio) e il futuro gravido di incognite (il rapporto con le religioni dell’Estremo Oriente). La sintesi la lascio ad Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio: C’è una pubblicistica dell’odio e del disprezzo: il mondo è complesso e duro, un intreccio difficile da raccontare. Queste tensioni si ripercuotono anche qui. Qui ci sono persone di paesi che non hanno relazioni diplomatiche tra loro. Vent’anni fa papa Wojtyla aveva invitato a pregare insieme per la pace. Noi abbiamo voluto raccogliere questa intuizione: le religioni avrebbero potuto giocare un grande ruolo nell’alimentare la pace, come avrebbero potuto giocare il loro ruolo nel sacralizzare la violenza, la guerra e finanche il terrorismo. E aggiunge: Non siamo dei delusi del mondo contemporaneo. Non siamo stanchi delle ripetizioni. Perché in incontri come questo si stringono relazioni, si crea una sorta di carovana della pace che attraversa il mondo. Il segreto dello spirito di Assisi è quello di far parlare attraverso il linguaggio della pace i mondi religiosi diversi, e anche il mondo dei laici umanisti. L’AMORE CHE UNISCE Chiara Lubich, in un messaggio all’VIII Assemblea mondiale delle religioni per la pace, che si è tenuta a Kyoto a fine agosto, ha dato una lettura forte dello spirito di Assisi. Il ritrovarsi insieme testimonia la nostra comune missione di promotori di pace e di fratellanza fra i popoli, facendo leva su valori trascendenti, su forze spirituali proprie di ogni nostra religione (…). Ma cosa occorre perché questo avvenga? Occorre portare nel mondo l’amore. Occorre ricordare che c’è qualcosa che è più forte della morte e della violenza. C’è una forza che risiede nel cuore dell’uomo e della donna e che ha solo bisogno di essere risvegliata, rianimata. Mai come ora si constata che tutti gli esseri sono interdipendenti e che soltanto insieme possono costruire un mondo riconciliato. Mai come ora, d’altra parte, nonostante tutto, si cerca una via comune, un dialogo costruttivo, una conoscenza reciproca. C’è un’aspirazione all’unità che pervade gli spiriti più illuminati e che sollecita all’incontro, alla condivisione (…). L’amore che unisce è quello che ciascuno di noi, iniziando da sé stesso, può innestare in tutti i suoi rapporti. È l’amore che si dimentica di sé stesso per mettersi al servizio degli altri, che costruisce la base per l’unità della famiglia umana. Questa unità può essere il seme di un mondo nuovo (…). L’unità non è la somma di più persone, non è solo solidarietà, collaborazione e dialogo. No. Costruire l’unità significa far risplendere, insieme, per l’amore scambievole, la presenza di Qualcuno che ci trascende e che è infinitamente più grande di noi. Si canta nella liturgia cristiana: Dove c’è la carità e l’amore lì è Dio. Chiara Lubich La parola di Benedetto XVI Alcuni stralci del messaggio di papa Ratzinger in occasione del ventesimo anniversario dell’incontro di Assisi. L’iniziativa (…) costituì un messaggio vibrante a favore della pace e si rivelò un evento destinato a lasciare il segno nella storia del nostro tempo. Si comprende pertanto che il ricordo di quanto allora accadde continui a suscitare iniziative di riflessione e di impegno (…). Queste iniziative (…) ne mostrano l’attualità alla luce degli stessi eventi occorsi in questo ventennio (…). La vicenda più significativa in questo arco di tempo è stata senza dubbio la caduta, nell’Est europeo, dei regimi di ispirazione comunista (…), un momento di generale speranza di pace, che indusse molti a sognare un mondo diverso, in cui le relazioni tra i popoli si sarebbero sviluppate al riparo dall’incubo della guerra (…). Purtroppo questo sogno di pace non si è avverato (…). Proprio sotto questo profilo, l’iniziativa promossa vent’anni or sono da Giovanni Paolo II assume il carattere di una puntuale profezia. Il suo invito ai leader delle religioni mondiali per una corale testimonianza di pace servì a chiarire senza possibilità di equivoco che la religione non può che essere foriera di pace (…). A nessuno è dunque lecito assumere il motivo della differenza religiosa come presupposto o pretesto di un att e g g i a m e n to bellicoso verso altri esseri umani (…). Di fatto, testimonianze dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore si registrano in tutte le grandi tradizioni religiose (…). L’incontro promosso ad Assisi (…) pose opportunamente l’accento sul valore della preghiera nella costruzione della pace (…). La pace è un valore in cui confluiscono tante componenti. Per costruirla, sono certo importanti le vie di ordine culturale, politico, economico. In primo luogo però la pace va costruita nei cuori (…). Il cuore dell’uomo, peraltro, è il luogo degli interventi di Dio. Pertanto, accanto alla dimensione orizzontale dei rapporti con gli altri uomini, di fondamentale importanza si rivela, in questa materia, la dimensione verticale del rapporto di ciascuno con Dio (…). Tra gli aspetti qualificanti dell’incontro del 1986, è da sottolineare che questo valore della preghiera nella costruzione della pace fu testimoniato da esponenti di diverse tradizioni religiose, e ciò avvenne non a distanza, ma nel contesto di un incontro. In questo modo gli oranti delle varie religioni poterono mostrare, con il linguaggio della testimonianza, come la preghiera non divida ma unisca, e costituisca un elemento determinante per un’efficace pedagogia della pace, imperniata sulla amicizia, sull’accoglienza reciproca, sul dialogo tra uomini di diverse culture e religioni (…). Per non equivocare sul senso di quanto, nel 1986, Giovanni Paolo II volle realizzare, e che, con una sua stessa espressione, si suole qualificare come spirito di Assisi, è importante non dimenticare l’attenzione che allora fu posta perché l’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse ad interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica. Proprio per questo, fin dalle prime battute, Giovanni Paolo II dichiarò: Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. E neppure è una concessione al relativismo nelle credenze religiose. Desidero ribadire questo principio (…). È doveroso (…) evitare inopportune confusioni. Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni (…). Per la sua iniziativa audace e profetica, Giovanni Paolo II volle scegliere il suggestivo scenario di codesta città di Assisi, universalmente nota per la figura di san Francesco (…). È tuttavia importante ricordare, se non si vuole tradire il suo messaggio, che fu la scelta radicale di Cristo a fornirgli la chiave di comprensione della fraternità a cui tutti gli uomini sono chiamati (…).

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