Altaj: di scena il movimento

Nella regione altaica della Mongolia occidentale, la prima sensazione per chi arriva da fuori è quella che procurano gli elementi in continuo movimento. Le nubi, le piogge, le luci e i riflessi, le sequenze d’onde create dal vento sui prati a distesa, sembrano divertirsi in un dialogo incessante fra loro. Tutto ciò sembra placarsi nell’apparente staticità dell’estate, quando il tempo e lo spazio pare abbiano altre coordinate e sembrano sfuggire al controllo delle leggi fisiche. Gli attori naturali, però, appaiono alla ricerca continua della mèta. Così i fiori e gli insetti in assidua mutua interlocuzione, sollecitati dalla brezza e dal desiderio di nettare; così gli uccelli a cavallo dei moti dell’aria con battito alare incessante e veloce, le specie più insettivore, in volo lento e veleggiante i grandi rapaci. Qui le mandrie dei quadrupedi non addomesticati, dai cammelli ai piccoli cavalli selvatici, selvatici, sono nomadi. Lo sono pure i grandi predatori come il lupo o il raro leopardo delle nevi. In esodo continuo anche le specie educate dall’uomo come le pecore, gli yak, i cammelli e i cavalli. Nomadi infine pure i mongoli di questo poco noto angolo del paese, dediti al commercio e alla pastorizia errante. Neppure le case stanno ferme da queste parti. Le yurte o le gher, così chiamate in lingua russa o mongola, con tanto di tetto e strutture portanti, vengono spostate con estrema facilità. Smontate e poste su cammelli e cavalli, vagano con i loro proprietari da un posto all’altro. È raro quindi incontrare un villaggio, e quando lo si incontra non conviene assumerlo come punto di riferimento perché da lì a poco potrebbe non esserci più. La viabilità è consona al paesaggio, strade praticamente non ve ne sono, è tutto carrabile, a seconda della direzione scelta. Ma la motorizzazione non manca, anche se è stata assorbita dallo scenario naturale con effetti del tutto speciali. Gli spazi sono così sconfinati che le due o le quattro ruote in movimento si armonizzano, integrandosi in poco tempo all’allontanarsi sull’orizzonte. Questa per noi inconsueta dimensione è stata forgiata da un clima forte che si è servito del vento e del gelo come artefici principali. Ma la spinta della tormenta artica che lascia abbondantemente sotto lo zero l’ambiente altaico per parecchi mesi all’anno è corroborata, già in primavera, dalle brezze tiepide in arrivo dal vicino Gobi. Il risultato è un continuo e dinamico gioco di contrasti che ha inciso nei secoli sulle cose, sugli animali, sugli uomini e sulle loro usanze.

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