All’ombra del genio

Nella Cornovaglia di Emma Hardy. Come fu difficile per lei essere moglie di un celebre romanziere!
Cornovaglia foto di Christophe Mallet

«L’ho trovata sul pendio/ che discende ad occidente,/ dove l’aria sa di sale/ e l’oceano si infrange/ sulla riva color viola,/ dove l’uragano scuote/ la fermezza della terra». Sono versi che il grande scrittore vittoriano Thomas Hardy, famoso per romanzi come Via dalla pazza folla, Tess dei D’Uberville, Jude l’oscuro, dedicò ormai vecchio alla prima moglie Emma Lavinia Gifford insieme a molti altri che fan parte dei suoi Collected Poems, ritenuti il più alto esito della poesia inglese del Novecento.

Il giovane Hardy incontrò Emma nel 1870 a St Juliot (santa Giulitta), parrocchia rurale di un angolo remoto della Cornovaglia, la stretta penisola sud-occidentale della Gran Bretagna, confinante ad est con la contea del Devon mentre per il resto è circondata dall’Oceano Atlantico: una regione che, nonostante la distanza dai principali centri del Regno Unito, è meta turistica molto ambita per la sua cultura celtica, i siti storici e preistorici, per il clima mite e gli spettacolari paesaggi rappresentati dalle sue brughiere, spiagge e scogliere.

Sempre presente nei Collected Poems è la selvaggia bellezza della Cornovaglia. Leggere queste composizioni dalle forme metriche estremamente varie dà modo di addentrarsi nei meandri della psiche di uno scrittore che, se seppe descrivere con straordinaria acutezza psicologica certe figure femminili dei suoi romanzi, fallì clamorosamente – dopo l’iniziale invaghimento – nel rapporto con la propria moglie, con la quale visse oltre trent’anni. Poiché si può dire che iniziò ad amarla solo dopo la sua morte, Hardy si può ben definire “poeta dell’assenza” o “dell’espiazione”, la cui tragedia sta nell’aver trascurato e fatto soffrire la sua compagna finché l’aveva accanto, e solo sa rimpiangerla ed accusarsi dopo averla perduta. Tragedia anche perché Hardy – al contrario della consorte, il cui spirito d’indipendenza l’aveva resa incapace di starsene tranquilla all’ombra del “genio”– non credeva in Dio e quindi in una comunione oltre la vita terrena. E dire che era stata proprio lei ad incoraggiarlo ad intraprendere la carriera letteraria!

Certo lo scrittore non rievoca Emma come s’era ridotta quando, ormai esasperata e inacidita, era anche mentalmente instabile, bensì nel suo fulgore giovanile di amazzone provetta. Quasi novello Orfeo in cerca della sua Euridice, egli ne insegue il fantasma nei luoghi frequentati insieme, ne ricorda episodi, immagina gli aspri rimproveri che lei gli rivolge, tra scenari naturali di grande suggestione e immagini più lugubri da letteratura gotica (non a caso Hardy s’era specializzato come architetto in “falsi” in stile gotico, tipici dell’epoca vittoriana). Eppure sono poesie d’amore sincere, queste dedicate a Emma, testimonianza palpitante dell’anima umana con le sue grandezze, le sue miserie, le sue contraddizioni.

Fatto piuttosto sorprendente: Hardy le compose quando, già risposato con Florence Emily Dugdale, fece di esse l’unico suo tardo interesse, senza accorgersi con ciò di riproporre alla seconda moglie un destino analogo a quello della infelice Emma. Evidentemente non aveva imparato granché dall’esperienza precedente! Gustate l’afflato lirico di queste poesie, ma simpatizzate – come è toccato a me – prima con Emma e poi con Florence.

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