Alla scuola dell’unità

“Saluto gli studenti universitari e neolaureati di tutta Europa, che frequentano il corso dell’Istituto superiore di cultura del Movimento dei focolari”. Con queste parole Giovanni Paolo II ha accolto i cento giovani che hanno interrotto le loro lezioni presso il Centro Mariapoli di Castelgandolfo, per spostarsi di pochi metri e recitare l’Angelus insieme al papa. Ai cinquanta italiani che avevano inaugurato l'”Isc” lo scorso anno, si sono uniti altri cinquanta giovani, provenienti da tutta Europa – dalla Lituania al Portogallo -, in attesa di accogliere, fin dall’anno prossimo, gli studenti degli altri continenti. Per questo corso universitario di alto livello e a numero chiuso, si chiede ai giovani una forte preparazione spirituale nell’ambito del carisma dell’unità; devono poi essere studenti universitari, o neolaureati, che abbiano dimostrato una chiara predisposizione per lo sviluppo della vita intellettuale e della ricerca, che devono imparare – è la caratteristica dell’Isc – a saldare con la vita spirituale. Questa unità tra vita e pensiero è uno stile che il Movimento dei focolari ha trasmesso all’Isc. Ma, allo stesso tempo, è un’esigenza alla quale alcuni grandi modelli di scuola, nel corso della storia, hanno cercato di dare risposta: “Pensiamo – spiega il prof. Piero Coda, direttore dell’Isc – alle grandi scuole di filosofia, e cioè di “amore della sapienza”: come quella di Platone, descritta nella sua Lettera settima, dove la verità scocca come fuoco da una scintilla tra due pietre sfregate, dopo lunga comunione di vita. Pensiamo, soprattutto, a Gesù. “Io sono la via, la verità, la vita”: si attinge la verità camminando insieme in Gesù-Via, vivendo cioè la verità e illuminando della verità la vita. Per questo, prima caratteristica della nostra scuola è l’intreccio profondo tra gli strumenti della spiritualità collettiva e le lezioni tradizionali; le quali, proprio per lo stile di tale spiritualità, sono integrate con momenti di dialogo e di scambio tra professori e studenti, sia in aula, sia in tutti i momenti della giornata”. L’esperienza degli studenti lo conferma: “Questa – racconta Julie Lecoq (Belgio), laureata in psicologia – non è solo un’università della mente, ma anche della vita. Prima di venire qui non avevo mai sperimentato la pienezza della felicità, perché non mi ero mai data così pienamente a Dio. Qui non si può capire se non si vive, e ho sperimentato per tutto il tempo questa dinamica. Prima, ho sempre avuto paura di partire dal mio Ideale spirituale per comprendere la mia scienza: avevo paura, così facendo, di perdere la scientificità e che non fosse possibile mettere in unità le due cose. Qui invece ho visto come è possibile trovare nelle varie correnti della psicologia dei semi del Verbo; l’ideale non dà, semplicemente, una teoria tra le altre, ma fornisce un nuovo paradigma, il paradigma dell’amore, con il quale è pos- sibile riconoscere la verità nei diversi pensatori. Soprattutto, ora vedo l’autore come una persona con la quale posso entrare in relazione e capire quello che lui mi porta e quello io porto in me”. E l’apertura vitale all’amore, al rapporto con l’altro, svolge anche un ruolo di purificazione del pensiero, come spiega Juan Garcia Gutierrez, di Madrid, già laureato in pedagogia, materia nella quale ha in corso un dottorato: “Qui ho capito in che modo fosse strutturato il mio pensiero, quali schemi avessero prodotto in me gli studi che ho fatto, dandomi una forma mentale della quale ero inconsapevole: schemi e forma mentale che qui sono crollati. Ora mi sento come un campo arato, dove sono stati deposti dei semi, ai quali devo dare lo spazio per crescere”. Continua Marco Luppi, laureando in storia: “È una nuova metodologia: non giudico subito ciò che leggo, ma gli do dentro di me lo spazio che richiede, e poi applico il discernimento, distinguendo ciò che è vero, ma non come un giudizio individuale, bensì arricchito, dentro di me, dalla sensibilità di tutti gli altri ai quali sono unito. Per quel che riguarda la storia, mi ha particolarmente colpito l’idea che Gesù è morto per tutti; lo sapevo anche prima, ma qui ho toccato con mano alcune conseguenze metodologiche: Gesù infatti ha reso tutti uguali, ha dato la stessa dignità al forte e al debole. Ma allora la storia va riscritta, dando dignità agli avvenimenti sulla base della dignità che è dovuta agli uomini che li hanno vissuti; ad esempio, non si può parlare della Rivoluzione Francese e tacere di quella, contemporanea e connessa alla prima, che vissero gli schiavi di Haiti. In questa luce, cambia il peso che si dà ai fatti, non ci si accontenta più della storia così come è scritta da colui che vince”. Non è più il tempo, spiega il prof. Coda, del solo studio specialistico, che separa una competenza dall’altra e che rischia di perdere, in cambio di una evoluzione tecnica sempre più raffinata, l’unità dell’uomo, il senso della conoscenza nel suo insieme: “Un esempio: è stata fondata quest’anno a Milano, un’università con tre facoltà, medicina, psicologia, e filosofia. Massimo Cacciari, uno dei maggiori filosofi italiani, impegnato in prima persona nell’impresa, ha scritto: “L’idea che mi ha appassionato è quella di una trasversalità che interconnette mente, corpo e diciamo pure anima. (…) Ormai siamo in un’epoca in cui o anche le scienze, le tecniche, riacquistano piena responsabilità, oppure continueremo a fare prediche nei loro confronti. (…) Anche le facoltà scientifiche dovranno interiorizzare una dimensione filosofica “. L’Isc vuole dunque essere un tentativo di recuperare l’unità della persona e del sapere, in una visione dell’uomo che vede in Gesù il proprio modello: “Gesù vuol dire – conclude Coda – la persona nel suo essere “una” e nella sua interezza che abbraccia nel suo cuore e nella sua mente, per quel ch’è possibile, l’essenziale di tutti i saperi, per la comunione con i fratelli. Per questo, nei quattro anni della scuola, cercheremo di dare non direi un assaggio, ma l’essenziale, il distillato delle varie discipline. Questa è la sfida per i professori: si esige competenza, padronanza della materia e sapienza, acquisita alla luce di Gesù in mezzo”. Ma tutto questo, fino a che punto è riuscito? Alla conclusione del secondo anno se ne può fare un bilancio: “Quest’anno – risponde la prof.ssa Alba Sgariglia, responsabile, col prof. G. M. Zanghì, del settore Cultura, formazione e studi del Movimento dei focolari – mi è sembrato un “crescendo” – in profondità – rispetto all’esperienza dell’anno scorso. Un anno fa Chiara, nel suo discorso di inaugurazione dell’Isc, ci aveva portati tutti dentro quella che lei ha chiamato “aula”, e che non è fatta di pareti, non è un luogo fisico: è quella realtà che si sperimenta quando l’amore reciproco attira la presenza di Gesù, e Gesù ci porta in Dio, ci porta a vivere, come è possibile agli uomini, la dimensione trinitaria, nella vita e nel pensiero. Questa è la nostra “aula”: quel “Seno del Padre” dal quale sgorga la Luce con la quale dobbiamo guardare allo scibile umano. Gli studenti del secondo anno sono riusciti a rimanere in quell’ “aula”, anche perché nel corso dell’anno si è mantenuto il contatto fra loro e con i professori, si è continuato a scriversi, a studiare, a progettare insieme; e quelli del primo anno vi sono entrati subito. È dunque un’aula dalla quale si può non uscire, anche se ci si allontana fisicamente gli uni dagli altri”. Ma che cosa si vede in quest’aula? Maria Chiara Benassi, laureata in Scienze ambientali: “È stata l’esperienza più sconvolgente e profonda della mia vita, perché ha ripreso tutti i valori che la spiritualità dell’unità mi aveva dato fin da quando ero piccola e li ha tradotti in cultura e in vita sociale, entrando anche sia nell’aspetto politico ed economico, che in quello scientifico. All’università ci si ferma spesso, in ambito scientifico, allo studio dell’aspetto esteriore delle cose. Qui si entra dentro, si illumina la logica profonda dei rapporti che le formule, spesso, non rivelano; è una logica trinitaria che lega tutto il creato e che non va a discapito della scienza, ma anzi la motiva e la illumina”. La composizione professionale degli studenti è molto variegata: non vi sono soltanto teologi e filosofi, ma anche ingegneri, medici, biologi, sociologi, giuristi, economisti, politologi, psicologi, ecc. Come hanno reagito al programma innovativo proposto dall’Isc? “Il primo impatto, per molti – spiega ancora la prof.ssa Sgariglia -, ha comportato qualche difficoltà, soprattutto per l’approccio teologico che, ai più, non è familiare. Ma abbiamo notato che successivamente, affrontando le altre discipline, quali le scienze naturali e matematiche, la psicologia, la sociologia, ecc., che si mostravano nel loro forte legame con la prospettiva spirituale e teologica, anche la teologia è stata meglio compresa, riconducendo all’armonia di una prospettiva unitaria le diverse forme di conoscenza. In altre parole, le diverse discipline si sono aiutate le une le altre. Ma, soprattutto, ha aiutato la vita”. Questo secondo anno dell’Istituto superiore di cultura, in conclusione, ha approfondito l’esperienza del primo, manifestando ulteriormente le potenzialità culturali del carisma dell’unità. Portiamoci a casa, e teniamoci stretta lungo un anno che sarà di lavoro e di preparazione del prossimo corso, questa impressione di Kate O’Brien, irlandese, studentessa di Scienze politiche: “L’idea che più mi ha colpito è che Gesù abbandonato, nel suo grido, ha riunito in sé fede e ragione, perché si rivolge a Dio nel quale continua a credere, esprimendo il suo bisogno di conoscere. In questi giorni abbiamo costruito una forte unità tra di noi e con i professori, e questo rimarrà anche quando ritorneremo a casa. Ho imparato un nuovo modo di pensare; ho imparato a non attenermi soltanto al ragionamento della mente, ma a cercare anche la logica soprannaturale delle cose; bisogna affidarsi a Dio in ciò che non capiamo, ed è la vita che ci fa comprendere. Nel primo anno non si studiano le mie materie, e quelle che ci sono state insegnate erano, per me, sconosciute: è stato il viverle a farmele capire, l’amare l’altro, il vivere cioè da persona e non da individuo. Ho fatto esperienza che il vivere per l’altro non ci rende tutti uguali, anzi, l’essere amore ci rende distinti, così come Dio ci ha pensati, perché Dio dice “amore” in infiniti toni. In questi giorni ho visto che siamo un gruppo di persone molto diverse, ma siamo anche molto in pace con queste diversità”. Un programma interdisciplinare L’apertura del primo anno e dell’intero corso è costituita da alcune lezioni di Giuseppe Maria Zanghì, che mettono in corrispondenza il carisma di Chiara Lubich con le esigenze della cultura contemporanea. Ogni anno una parte del programma è dedicata alla teologia, la disciplina che attua la prima mediazione fra il carisma e la cultura: la luce dell’Ideale dell’unità, infatti, viene da Dio, è Gesù, è trasmessa e fatta vita dallo Spirito Santo. Ed è in questa luce che si legge l’umano e il cosmo intero. Il primo anno si presentano la rivelazione di Dio e la fede, la Parola di Dio nelle Scritture e, a partire da essa e dalla tradizione della chiesa: la Trinità, Gesù (in particolare, la realtà di Gesù abbandonato), Maria, l’uomo e la donna “immagine di Dio” (antropologia teologica e culturale). Nel secondo anno la parte teologica si occupa dello Spirito Santo, della chiesa e dell’ecumenismo, della storia della spiritualità, e ancora di Maria, in particolare in rapporto alla chiesa. Sia nel primo che nel secondo anno si dà spazio alla filosofia, espressione dell’universale e radicale anelito alla verità, e alla morale, approfondimento dell’agire umano in libertà e secondo verità. E alle scienze umane: il primo anno, psicologia e diritto; il secondo, sociologia e dottrina sociale, politica ed economia. E ancora, alle scienze naturali e alla matematica, al rapporto tra scienze e fede. Nel terzo e quarto anno è la volta dei sacramenti, delle diverse chiese, delle grandi religioni, dell’antropologia medica, dell’arte e della letteratura, delle scienze della comunicazione. L’ultimo anno prevede anche dei laboratori per giungere a qualche proposta organica, elaborata insieme da professori e studenti, nelle varie discipline. Il paradigma dell’amore L’Istituto superiore di cultura vede schierati al completo, come docenti, i membri della Scuola Abbà di Chiara Lubich. Ne parliamo col prof. Giuseppe Maria Zanghì, responsabile della Scuola Abbà. Quale legame si è stretto tra la Scuola e il nuovo Istituto? “La Scuola Abbà è stata creata nel cuore stesso dell’Opera di Maria e ha il compito di cercare di penetrare nel carisma spirituale di Chiara per enuclearne le ricchezze dottrinali che vi sono contenute. E di farlo non solo in settori particolari del sapere, quali la teologia e la filosofia, ma aprendosi a tutte le discipline e in una profonda comunione fra loro. Fondamentale, nella Scuola Abbà, è proprio la metodologia, che si àncora su due punti; sul primato della vita sul pensare come tale: ogni incontro della Scuola Abbà è anzitutto, per noi, entrare nella dimensione della nostra spiritualità, scegliere Gesù crocifisso e abbandonato, aprirsi a una vita di comunione profonda; e, da questo, entrare – insieme, in modo interdisciplinare – nella conoscenza dei diversi ambiti del sapere. “Sono ormai dieci anni che la Scuola Abbà lavora, e l’Istituto superiore di cultura ci sembra la realtà nella quale riversare quello che abbiamo iniziato ad elaborare. I giovani che partecipano ai corsi, oltre a ricevere i contenuti della riflessione della Scuola Abbà, entrano anche, profondamente, nella nostra metodologia”. In alcune sue lezioni lei ha introdotto l’idea di un “nuovo paradigma di pensiero”: che cosa significa? “Per comprendere fino in fondo che cosa sia il pensare e quali obiettivi esso si propone, ho proposto tre paradigmi del pensiero, corrispondenti a tre diverse epoche storiche. Il primo è stato quello del mito, che arriva fino al 700 a. C. Successivamente decolla quello che potremmo chiamare il “paradigma del logos”, caratterizzato dalla speculazione, dalla ricerca della verità nei vari ambiti del sapere; la Grecia gli ha dato il proprio caratteristico taglio filosofico, ma questo paradigma è stato vissuto anche dall’India: in esso prevale la parola, la parola pensata. Nel terzo paradigma, che chiamerei dell’amore, prevale la persona, che è eminentemente relazione con gli altri: è un pensiero che è amore. Maritain, ad esempio, ha scritto che il pensiero non può penetrare gli abissi di Dio; ma allora, entrando in una sorta di sonno, cede sé stesso all’amore, e l’amore acquista la capacità formale del pensiero e lo conduce dove il pensiero, da solo, non potrebbe mai arrivare. È in questo terzo paradigma che ha cominciato a muoversi l’Istituto superiore di cultura”.

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