Adozioni internazionali, Ruby e la sua nuova famiglia

Nel Sudest asiatico sono timidamente ripartite le adozioni internazionali nonostante la pandemia. L’esperienza di una famiglia italiana che ha potuto accogliere una bimba thai dopo anni di attese e rinvii
Adozioni, foto di solo carattere evocativo (AP Photo/Gemunu Amarasinghe)

All’inizio di marzo 2020 tutte le adozioni in Asia sono state, in pratica, bloccate a causa della pandemia. Una famiglia italiana, P&M (li chiamerò così), venne bloccata quattro giorni prima della partenza, perdendo i biglietti aerei e la prenotazione dell’albergo. Un sogno, quello dell’adozione internazionale, accarezzato e sofferto da P&M per ben 3 anni, e sfumato 4 giorni prima della partenza per la Thailandia.

Un dramma vero e proprio. Poi la lunga attesa, senza sapere quanto sarebbe durata.
Sono centinaia i bambini e le famiglie in attesa dell’abbinamento ufficiale, della cerimonia che sanziona l’adozione temporanea o l’affidamento, a seconda del paese. Il Vietnam, seguendo il protocollo ufficiale dell’Aja (1993) sulle adozioni internazionali ha adottato la formula dell’adozione temporanea da confermare dopo due anni con una sentenza del Tribunale dei minori; la Thailandia ha preferito l’affidamento per due anni e poi, sempre dopo una sentenza del Tribunale, si va verso un’adozione definitiva, sentito il parere delle autorità italiane e thailandesi preposte.

Dall’inizio di marzo 2020, con la chiusura dei voli, si è fermato tutto, non solo il turismo ma soprattutto tanti progetti umanitari che hanno subito un rallentamento pericoloso, così anche le adozioni Internazionali. Solo in Thailandia, da dove scrivo, c’erano 392 bambini in attesa della partenza per casa che sono rimasti bloccati indefinitamente. È così iniziato un lento lavoro da parte delle organizzazioni internazionali che operano sul territorio, come racconta L.B., referente per la Thailandia ed il Vietnam di un’agenzia italiana che opera anche nel campo delle adozioni: «Sentire i futuri genitori piangere al telefono per questo sogno infranto di avere un bambino nella loro famiglia, mi ha spaccato il cuore, e mi ha dato una spinta ancora pìu forte per non mollare, per restare sul territorio e lavorare per queste persone meravigliose».

Molte Ambasciate dei Paesi coinvolti hanno supportato lo sforzo delle agenzie internazionali: gli ambasciatori di Italia, Francia, Irlanda e Germania sono stati in prima linea nel chiedere alle autorità nazionali vietnamite e thailandesi di aprire canali preferenziali per permettere alle adozioni internazionali di andare avanti.

Un lavoro difficile e spesso incompreso: perchè nel mezzo di una pandemia chiedere la riapertura delle adozioni? Un diplomatico, in via del tutto confidenziale, mi ha rivelato quanto è stato difficile: “Era come aver di fronte un muro impossibile da scalare”. Eppure giorno dopo giorno, incontro dopo incontro, e le ottime notizie (per quanto effimere) dell’estate scorsa sulla pandemia in Europa, hanno consentito in ottobre l’arrivo in Vietnam di una trentina di famiglie, collegate con varie associazioni ed enti, per altrettante adozioni. Misure di contenimento del virus incredibili ma, soprattutto, la semplificazione degli infiniti timbri e documenti, hanno consentito, nel rispetto della legalità e delle norme, di portare a termine tutte le adozioni nel pìu breve tempo possibile, senza nessun contagio, e di far ripartire famiglie e bambini felici verso l’Europa.

Anche la Thailandia, nei giorni scorsi, ha permesso ad alcune famiglie “in dolce attesa di un’adozione” di arrivare. Il Child Adoption Center di Bangkok ha predisposto tutto affinché una quarantina di famiglie al mese possa procedere con le adozioni richieste. Così , il 10 dicembre sono arrivati anche i miei amici P&M: papà, mamma ed il primogenito F., adottato in Italia alcuni anni fa. Coraggiosamente ha voluto anche lui intraprendere il viaggio e la quarantena di 15 giorni per accogliere la sorellina che aspettava da un anno.

Un amico di vecchia data, proprietario di un albergo abilitato per la quarantena, li ha voluti accogliere, e conoscendo la loro storia ha voluto offrire una suite e pasti gratis a questa famiglia in attesa da ormai 4 anni: «questa famiglia viene per regalare una vita migliore ad una bambina thailandese: io sento che devo essere loro riconoscente». Un grosso aiuto per P&M che avevano perso biglietti e albergo quasi un anno prima.

Il giorno di Natale, 25 Dicembre 2020, il grande appuntamento. Sono andato a prenderli in auto, un lungo abbraccio e poi via, all’orfanotrofio. L’emozione e l’attesa erano palpabili. Poi è arrivata Ruby (rubino, il suo nome in orfanotrofio): una bellissima bimba di quasi 6 anni. È arrivata con gli occhiali da sole, il vestitino azzurro e una valigetta in mano. Una scena indimenticabile, al di là di ogni protocollo: i baci e le lacrime non sono mancati, comprese quelle del sottoscritto, che seguo questa storia, con tutti i suoi risvolti dolorosi e di sospensione, da più di un anno. Gli incontri zoom di queti ultimi mesi avevano preparato Ruby all’incontro con il papà, la mamma e il fratello. Un paio d’ore per ambientarsi e poi via, verso l’albergo, dopo la firma dei documenti.

Ho incontrato di nuovo la bellissima famiglia dopo alcuni giorni. La bimba, quando mi ha visto, ha gridato in mezzo alla strada il mio nome e mi è letteralmente saltata in braccio. Poi, camminando, mi ha detto: «Zio, mancano solo sette giorni!». Facendo finta di non sapere, le ho chiesto: “Verso dove?”. E lei con un sorriso bellissimo: «Verso l’Italia!» Il sorriso di questo scricciolo e i suoi occhi, che sono davvero due gioielli, hanno accompagnato il mio lavoro in questo Natale e l’impegno di queste settimane prima del volo.
“George, grazie!”, mi ha detto il papà alla fine. “Per cosa? Io non ho fatto nulla”, ho risposto. E lui, indicando con un cenno Ruby: «Sì certo, quel pezzetto di cielo vestito di rosa, seduta là, è qui perché c’è stato il tuo aiuto».

In verità, ho l’impressione che se nella vita avrò fatto solo questo di buono, mi basterà per essere felice. Ma lo devo anche, lo dobbiamo noi tutti, anche alla mamma di Ruby, che dal carcere ha avuto il coraggio di firmare tutti i documenti per assicurare un futuro alla sua bambina. Ogni adozione, l’ho sperimentato spesso, è come una musica suonata da un’orchestra: ci vuole l’accordo, l’amore, di tutti gli strumenti.

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